Stefano Vaj, Interview:Biopolitica e Futuro

Stefano Vaj, Biopolitics. A transhumanist paradigm La Carmelina (Ferrara-Roma, 2014) **Cartaceo e eBook.   …This seminal and controversial essay, the Italian original of which appeared in print  in 2003, contains a coherent and passionate pro-tech discussion of most issues  relevant to biopolitics and “wet” transhumanism, in the light of continental philosophies of Becoming – namely those of Nietzschean, Futurist and posthumanist descent, as the crucial questions of our age and collective destinies. 

As such, it offers a transhumanist and Promethean perspective on what we should think and make of GMOs, environmental policies, eugenics, cyborgisation, demography, biodiversity, reproduction technologies, genetic engineering, medical research, cloning, national health programmes, life-extensionism and self-directed evolution. 

D- Stefano, una ristampa particolare, esatto? Anche aggiornamenti?
R – Non è necessariamente facile tradurre in inglese un libro che, benché contenga ampie illustrazioni delle prospettive tecnoscientifiche della nostra epoca, concerne in realtà essenzialmente che cosa ritengo se ne debba pensare da un punto di vista “filosofico”, alla luce anche di una tradizione di pensiero che innegabilmente è in essenza “continentale”. Il grande lavoro fatto al riguardo con la traduttrice, Catarina Lamm, mi ha dato comunque l’opportunità di rivedere al riguardo il modo in cui avevo espresso originariamente in italiano il mio pensiero . Non ho tanto cercato perciò un’accuratezza filologica rispetto alla versione originale, ma soprattutto un’aderenza con quello che davvero voglio comunicare. Che poi non è cambiato dall’epoca in cui il libro è stato scritto, così che le modifiche in realtà sono minime.

D- Stefano, comunque una lunga storia questa esplorazione biopolitica… uno zoom ?   
R – Il saggio è uscito in una prima versione su un trimestrale nel 2003, poi in versione notevolmente ampliata nel 2005 in volume per la Società Editrice Barbarossa, ed oggi è online in una versione ipertestuale e ulteriormente arricchita a http://www.biopolitica.it - che ha poi costituito la base per l’attuale traduzione inglese. In inglese era già stata del resto tradotta e pubblicata sul Web all’indirizzo http://www.biopolitix.comla lunga intervista che avevo rilasciato ad Adriano Scianca sulle reazioni e sul significato del primo libro, a sua volta pubblicata in volume nel 2008 dal Settimo Sigillo. 
Credo che quest’ultima intervista rappresenti un complemento indispensabile a quello che è un libro che ha avuto una certa influenza sul postumanismo e transumanismo italiano, in particolare sotto il profilo “wet”, grazie anche ad una trentina di recensioni sulla stampa italiana, di cui quattro su quotidiani nazionali e una sul GR2, e il cui ruolo se non altro “storico” può oggi essere apprezzato anche dal pubblico anglofono che ne conosceva sinora i contenuti solo per sentito dire, talora da parte di “interpreti” non esattamente benevoli.

D- Stefano, biopolitica, focus moderno, postmoderno o posthuman?
R - A dieci anni dalla primissima versione del saggio, mi sembra che risulti più che confermato da un lato come la “biopolitica” come io la intendo rappresenti lo snodo cruciale delle scelte fondamentali cui la nostra epoca è posta di fronte, dall’altro come la cultura dominante resti grottescamente inadeguata rispetto alle sfide relative, al punto da mancare una dopo l’altra le aspettative che l’epoca “futurista” di cui i manifesti di Marinetti rappresentano l’epicentro simbolico avevano suscitato, almeno nell’ambito di minoranze visionarie. 
Sotto tale profilo, il messaggio fondamentale del libro di cui stiamo parlando direi che resta sempre attuale: non è possibile pensare ad una trasformazione postumana che non sia accompagnata, anzi preceduta, da un cambio di paradigma in senso postumanista.

D- Stefano,  aveva ragione il compagno Baudrillard? Tutto un simulacro perpetuo il mondo oggi?
R - Certamente. Se molti dei progressi tecnoscientifici recenti appartengono al novero di quelle che sono state più volte caratterizzate come gesta di nani ritti in piedi sulle spalle di giganti – in particolare di coloro che hanno davvero creato giganteschi breakthrough filosofici, scientifici, tecnologici, culturali, politici artistici nel periodo dal 1870 al 1970 -, ancora più inquietante è constatare come gran parte di essi riguardino una dimensione puramente virtuale, non assunta come mito, esempio, rappresentazione, esperienza o progetto di una appropriazione reale del mondo fisico, ma come sua sostituzione e surrogato. La tecnologia aerospaziale, ad esempio, ha conosciuto progressi incredibili… negli effetti speciali dei film e dei videogames. Mentre, nella realtà, le nostre capacità in tale campo sono stagnanti, se non in decadenza rispetto a quello che era esperienza quotidiana all’epoca delle missioni Apollo o dei Concorde, epoca in cui il primo sbarco umano su Marte veniva previsto – allo stato delle capacità contemporanee! – per il 1982.
Fa eccezione unicamente la legge di Moore, per ciò che riguarda le crescente capacità di elaborazione rispetto a costo e dimensione dei nostri dispositivi, e quello che da essa è strettamente dipendente, come la genomica e le biotecnologie da essa dipendenti. Ma anche qui, legislazione proibizionista, la mancanza di fondi per la ricerca fondamentale, il pregiudizio ideologico ed una prospettiva miope e puramente mercantilistica hanno fatto sì che ciò che è stato davvero realizzato, rispetto alle aspettative di cui il mio libro dà atto, è stato molto poco rispetto a quello che si sarebbe potuto e si potrebbe fare.

D- Stefano,  Popper o Feyerabend (quello de La Scienza come Arte e Contro il Metodo, non quello forse regressivo) il metodo o antimetodo per  superare la crisi…. Il Transumanesimo ricetta doc possibile? 
R – Parlando di tecnoscienza, tecnologia ed implementazioni soffrono dei loro problemi, ma anche la ricerca scientifica fondamentale subisce oggi difficoltà e impasses che non sono solo economiche e/o legali, ma che hanno a che fare con una sorta di inaridimento accademico della prospettiva popriamente 
poetica e visionaria della grande scienza del passato recente, inaridimento che tende a premiare l’erudizione o il virtuosismo conformista più che il pensiero trasversale capace di aprire nuove strade. La cosa è naturalmente drammatizzata dall’enorme eco che di converso Internet si presta a dare a quella che invece è semplicemente ciarlataneria. Sotto questo profilo, gli esempi naturalmente abbondano anche nel campo delle hard sciences; ma le scienze umane, mediche e biologiche rappresentano un campo di elezione per tutte le peggiori stupidaggini, che di riflesso rafforzano un’”ortodossia” peer reviewed che ormai da decenni si dimostra incapace di fare veri salti di qualità rispetto a varie questioni fondamentali. 
Sotto questo profilo, il transumanismo quanto meno si pone il problema di pensare e indicare alcuni obbiettivi – vedi l’estensione delle capacità cognitive e fisiche degli esseri umani o il loro lifespan – come concettualmente possibili, anziché accettare meccanicamente le limitazioni attuali come “naturali”, e rifiutare a priori come illusoria, se non blasfema, ogni ipotesi di superamento delle medesime.
Questo naturalmente, se non dà di per sé alcuna garanzia di risultati concreti, è il presupposto perché tali risultati vengano quanto meno attivamente ricercati, cosa che potrebbe essere considerata come già un fine in sé nell’ambito di un’etica del “superamento di sé” che a mio avviso rappresenta il vero nocciolo di quello che l’identità europea e faustiana ha sinora rappresentato e può ancora rappresentare come destino collettivo di chi non riconosce il Brave New World contemporaneo come il migliore dei mondi possibili.