Intervista a Bruno Vigilio Turra: sociologia 2.0


D- PROFESSORE, un autoritratto diversamente automatico?
R - Grazie per il professore ma ho smesso l'insegnamento (scuole superiori) e non bazzico il mondo dell'Università se non per qualche intervento o lezione ai master e l'amicizia professionale che mi lega ad alcune persone.
Sono un libero professionista della famigerata classe delle Partite IVA, quelle senza nessuna cassa professionale. Di formazione sono Sociologo (Laureato a Trento) con ascendenze da ingegnere (ho frequentato a Padova il biennio senza però laurearmi). Società, scienza e tecnica mi hanno sempre interessato. L'utopia mi affascina per la sua potenza visionaria di esplorazione del possibile.
Ho iniziato sul finire del XX secolo ad occuparmi professionalmente di ricerca sociale, consulenza strategica e valutazione, prima in azienda (ricerca e consulenza) con vari ruoli manageriali, poi come libero professionista. Mi definisco un attivatore di sistemi umani diversamente capaci poiché nel mio lavoro cerco di costruire reti e connessioni organizzate, finalizzate, auto poietiche e basate sull'apprendimento. Collego insomma saperi, persone, organizzazioni cercando di condurre questi sistemi provvisori verso uno scopo che, spesse volte, è tutto da costruire. Lo faccio usando la valutazione come approccio costituente. Diciamo pure che lavoro con un selezionato gruppo di colleghi per sostenere e valorizzare progetti e processi creativi e di innovazione sociale. Questo sincretismo eretico mi consente di lavorare in settori differenti che il senso comune considera dominio di saperi specialistici non comunicanti.


D- Ecologismo o meno, robotica e automazione non confermano, paradossalmente, nella crisi contemporanea globale, i sogni più utopici ma desideranti e "liberanti", persino di Marcuse se non lo stesso Karl Marx?
R- L'esperienza insegna a non disgiungere mai dal sogno utopico, positivo, l'incubo distopico, negativo, le opportunità dalle minacce, i ricavi dalle perdite, gli scenari positivi da quelli negativi, i beneficiari dalle vittime.
Oggi, forse per la prima volta nella storia dell'uomo, esiste la concreta possibilità che le tecnologie, robotica ed automazione in particolare, consentano di liberare le persone dal vincolo del lavoro inteso come mera attività necessaria per garantirsi la sopravvivenza; permettano dunque di superare un modello di vita dove la maggior parte delle persone scambia il tempo dedicato ad un lavoro alienante o poco gratificante, svolto per gran parte della vita, con il denaro che offre la possibilità di consumare beni e servizi sempre nuovi. Questa potenziale liberazione affascina ed impaurisce: può aprire straordinarie possibilità e grandi spazi di innovazione sociale, diventare la base per lo sviluppo dei talenti, della creatività, di nuovi saperi e capacità; liberare risorse per la ricerca interiore e l'esplorazione del possibile. Ma può anche scatenare la paura, spaventare molti incapaci di pensare la propria vita senza la componente dominante del lavoro che satura il tempo disponibile, preoccupare altri a fronte dei rischi sociali che potrebbero manifestarsi.
Fascinazione e paura sono principi ispiratori delle due grandi narrazioni (utopico e distopico, appunto) che accompagnano da sempre la riflessione sulla robotica e l'automazione. Di entrambe si parla da molto tempo: l'espressione "fabbrica automatica", riferita alla tessitura si trova già nel Capitale e lo stesso termine "robot" ci porta almeno all'inizio del secolo scorso. L'oscillazione tra ottimismo e pessimo rispetto agli esiti generabili dalla diffusione delle tecniche e al crescente potere della tecnologia accompagna la stessa evoluzione storica delle società occidentali per le quali il lavoro è e resta un pilastro fondamentale.
Questa contrapposizione non rende onore al significato stesso del termine tecnologia: essa può essere intesa come l'applicazione sistematica del sapere scientifico (costruito con procedure riconosciute come valide) a tecniche e processi che possono rappresentare qualsiasi segmento di ciò che cade sotto il dominio dei sensi, della cultura e della conoscenza. Dobbiamo dunque parlare di tecnologie riconoscendo che esse ormai informano ogni campo della vita ben oltre la semplice manipolazione e trasformazione di oggetti tangibili; non a caso il termine "tecnocrazia" esprime proprio il dominio o il governo di un gruppo che antepone alle ragioni propriamente politiche ragioni di tipo tecnico-scientifiche.
Ogni tecnologia, anche la più elementare, cambia il rapporto dell'uomo con il mondo, conferendo maggiore capacità di manipolazione, fisica o simbolica non importa, ma privando al tempo stesso di capacità prima necessarie, che diventano obsolete e vanno perdute. La vecchia capacità di fare viene sostituita dalla nuova capacità di usare un oggetto che incorpora, per cosi dire, le vecchie capacità; l'estrema conseguenza negativa di questo processo spinto all'estremo è (per i pessimisti) la realizzazione del mito del consumatore perfetto: incapace di tutto ma capace di scegliere tra un'infinita serie di prodotti e servizi.
D'altro canto il sistema tecnologico costituisce sempre più un nuovo ambiente di vita che le tecnologie digitali rendono rapidamente intelligente. I robot imparano a muoversi bene negli ambienti non strutturati (quelli della nostra vita quotidiana) mentre gli umani vivono sempre più spesso in ambienti più strutturati, caratterizzati da una sensoristica diffusa che da corpo a case intelligenti (domotica), auto intelligenti, città intelligenti, territori intelligenti, reti intelligenti (smart grid); il corpo stesso è ambiente per lo studio e l'implementazione di bio e nanotecnologie sempre più raffinate.
Di fronte a questi cambiamenti in atto sembra difficile mantenere un'immagine dell'uomo come soggetto indipendente, quasi esterno al sistema, in grado di scegliere liberamente ed autonomamente tra diverse tecnologie prescindendo dai profondi cambiamenti sociali, culturali ed ambientali che esse comportano: piuttosto, dall'interazione tra tecnologie, persone, culture e società nascono nuove e variegate identità singolari e collettive che si fondano su usi e pratiche che tendono a sfuggire ad ogni forma di controllo, ammesso che si sappia chi dovrebbe controllare cosa e perché; nascono anche reazioni violente, di chiusura, che tuttavia spesso spingono ulteriormente ad adottare tecnologie di controllo sociale.
La vera sfida non sta dunque nello sviluppo delle tecnologie (tecno scienze) che diamo per scontato: risiede piuttosto nel governo dell'interazione di queste con la complessità ambientale, demografica, sociale, economica ed antropologica che riguarda l'intero mondo entro cui esse vengono applicate, modificandolo profondamente. Il sistema tecnico sempre più integrato che sta diventando la base del nostro modello di vita interagisce con società fatte di persone, di istituzioni, di strutture, di organizzazioni, di poteri, di culture, di ideologie, di economie, di finanza, di conflitti, di movimenti e cambiamenti che contribuisce a generare e ai quali è indissolubilmente connesso. Se è vero che il sistema tecnologico evolve e cresce come fosse una foresta è anche vero che laddove gioca la cultura piuttosto che la natura (per quanto questa contrapposizione sia ambigua), laddove sono in gioco significati, passioni, emozioni, storie e relazioni, è in azione anche il potere e con esso la certezza della manipolazione. Non stupisce allora che il sogno utopico di alcuni possa essere l'incubo di altri, che la speranza di pochi visionari sia la paura di molti e che l'ambizione modesta e conservatrice dei molti risulti intollerabile ai pochi animati da genuino spirito "rivoluzionario".
Per questo, rispetto all'irresistibile sviluppo dell'automazione e della robotica che di questa rivoluzione sono forse gli aspetti più immediatamente visibili,, di fronte all'ascesa delle tecnologie genetiche e delle nanotecnologie, di fronte alla diffusione delle tecnologie dell'educazione e del controllo del comportamento (etc.), si pongono di fronte a noi più scenari possibili: inferno o paradiso, trascendenza o involuzione. Malgrado ci sia chi pensa ancora di gestire o dominare il tecno-ambiente con i vecchi strumenti della società industriale, con categorie stantie, con il populismo che si fonda sulla paura, con il fanatismo tecnocratico o religioso, ognuno dovrà presto decidere se accettare la sfida, subirla o rifiutarla.


D- il regno della libertà o certe favole (o no?) fantascientifiche, non presuppongono proprio certo reddito di esistenza, anche proposto attualmente da gruppi diversi antipolitici? Potrebbe essere la Grande Politica 3.0?
R- L'idea di riconoscere un reddito di esistenza, ovvero riconoscere la dignità delle persone al di fuori del mercato e del lavoro, mi pare l'asse portante di tutta la riflessione sul ruolo dell'automazione e della robotica, almeno nel breve e medio periodo. Una scelta auspicabile e forse necessaria per affrontare il drammatico problema della disoccupazione generata anche dalla robotica e dall'automazione e lo scandalo della miseria nel bel mezzo dell'abbondanza. Specie in questi tempi nei quali la politica che dovrebbe esprimere i fini è diventata un mezzo e l'economia che mezzo dovrebbe essere è diventata il fine; dove l'economia reale è stata messa in completa balia della finanza e la politica anziché lavorare per l'uomo e le generazioni future, produce leggi per aumentare il potere e tutelare gli interessi della finanza globale piuttosto che quelli dei cittadini e delle imprese. Pochi ci pensano, ma si tratta forse del più chiaro esempio del dominio di una tecnocrazia sulla società o, meglio, sul mondo. Non va dimenticato infatti che la finanza attuale ha preso questa forma anche per effetto di discipline dure quali la fisica e la matematica (studio degli algoritmi di calcolo) applicate alle tecnologie digitali che consentono di elaborare enormi quantità di informazioni in frazioni di secondo, connettendo miliardi di grandi e piccoli decisori. Non va neppure dimenticato che gran parte dell'informazione che alimenta i giganteschi database su cui viene scatenata la potenza dell'Intelligenza Artificiale è fornita direttamente dai cittadini (ogni clic un'informazione preziosa) che spesso ignorano di esserne, loro malgrado l'origine.
Riconoscere dignità fuori dal mercato (così come è concepito attualmente) assegnando un reddito di cittadinanza (o esistenza) mette in discussione alcuni fondamentali costitutivi della società in cui siamo abituati a vivere. L'idea di libertà innanzitutto, alla quale siamo ottusamente assuefatti: quella per cui essa coinciderebbe con la possibilità di scegliere (come se la vita fosse un enorme supermercato); l'idea riduttiva di homo oeconomicus calcolante e raziocinante e quella di consumatore che rappresenta ormai l'unico ruolo che viene assegnato alle persone. Soprattutto mette in crisi l'idea stessa di lavoro (pilastro fondante della nostra Costituzione).
L'ipotesi lancia una sfida ai sistemi educativi che insegnano ai bambini (e alle persone) cosa pensare invece di come pensare ed obbliga a riflettere su meccanismi di scambio che spesse volte le persone danno superficialmente per scontati (perché Google offre il suo servizio gratis (?) a miliardi di persone? Come è possibile l'Open Source?)
Di sicuro una simile prospettiva costringerebbe milioni di persone a rivedere il modo stesso in cui hanno organizzato la vita in base al lavoro, traendone senso oltre che mezzi di sostentamento.
Cosa nascerà da questo urgenza collettiva di ripensare, da questo travaglio che è anche concettuale e simbolico, da questa tensione che chiama comunque alla partecipazione, è tutto da scoprire.


D- Vivere nel tecno-ambiente tra sogni ed incubi ...
R- Come sarà la vita nel tecno-ambiente che si sta sviluppando? Come interfacceranno i corpi con questo nuovo ambiente? Che protesi useremo tra qualche anno (nessun stupore: le portiamo ed usiamo da secoli, come gli occhiali, il cannocchiale, l'arco e le frecce)? In questo ambiente diventeremo forse più stupidi ed impotenti o troveremo risorse per evolvere? Come risponderanno persone diverse alle sfide del prossimo futuro?
L'imperativo categorico è quello di non subire passivamente; criticare, opporsi, fuggire, accettare, costruire, sono tutte opzioni diversamente credibili poiché aprono lo spazio all'esplorazione creativa del possibile. Questa compresenza di atteggiamenti e comportamenti differenti ma in costante interazione è una garanzia seppur minimale per coltivare la speranza di un orientamento qualitativo del sistema. Per vivere umanamente nel nuovo tecno-ambiente servono nuovi saperi e nuove virtù, nuovi comportamenti e nuove responsabilità.

* a cura di Roby Guerra

INFO
*Saggi di Bruno Vigilio Turra in Ferrara Italia