Intervista a Massimo Arduini, artista video film-maker e installativo




D- Sei una artista squisitamente multimediale, liminare tra cinema e video, uno zoom “darwiniano”....auto-selettivo dopo ormai decenni di produzioni e iniziative?


R- Non credo di essere così squisitamente multimediale anche se, si certo, spesso provo ad utilizzare linguaggi e tecniche diverse, mi piace provare le cose “nuove” e tentare di fare collegamenti a volte senza pormi dei limiti. Sicuramente mi sento più spostato sul versante video-istallativo che non come filmaker o video-artista tout court. Come nell’ultima occasione presso Gallerati di Roma, lo scorso anno, in cui ho sperimentato un dispositivo di proiezione video sulla vetrata della porta d’ingresso della Galleria. Gli spettatori prima di entrare alla mostra, ed ancor più con i favori del buio, vedevano me al lavoro nello studio e/o me con alcuni componenti la famiglia in situazioni tipicamente domestiche. Queste immagini si sovrapponevano ai lavori esposti all’interno creando in alcuni casi uno “strano” raddoppiamento.

Il mio primo lavoro video è stato una stop motion realizzata con Alberto D’Amico in formato 4/3 fra il 2005 e il 2006 da lì ho iniziato a sperimentare (e il termine è quanto mai adatto) il video in modo diciamo abbastanza “formale”; mi interessava il medium nuovo rispetto alle cose che fino a quel momento avevo utilizzato. Vedere cosa questo mi suggerisse. Infondo sono un po’ come i bambini sempre alla scoperta di qualcosa di diverso e come funzioni. Per poi passare dopo l’innamoramento ad altro con grande disinvoltura. E’ anche nella mia indole, ho necessità di diversificare lo sguardo. Probabilmente un limite che cerco di tramutare in virtù. In qualche modo non ho una linea o un criterio stilistico, o comunque non do prevalenze e questa connota il mio lavoro come non coerente o individuabile ma a me piace questa non tracciabilità, ambivalenza e per certi versi questa forma di anonimato. E in fondo Duchamp diceva che l’artista del futuro avrebbe dovuto operare in una forma di clandestinità e dunque di “apersonalità”. Così come anche la fotografia per me nasce da un approccio semi-amatoriale e frutto spesso di un “pensiero casuale”. Tornando alla produzione direi che le cose più interessanti le ho prodotte fra il 2010 ed il 2012 iniziando con la serie Molta acqua sotto i ponti, puramente istallativa utilizzata per un progetto espositivo itinerante fra Italia e Repubblica Ceca: sostanzialmente 4 riprese in tempo reale da 4 ponti, due a Roma e due a Firenze, fruibili su quattro lati di una scatola-box appositamente progettata con 4 mini-schermi. Documentazione del passaggio del tempo in cui si seguivano le varie fasi della giornata con le voci dei passanti come fondo audio. E poi quella che chiamo la “Trilogia” del movimento: Tangos, Man Ray Dance e Yoga Show. Dove è sempre presente, più o meno riconoscibile, la mia amica, insegnante yoga, ballerina e appunto in queste produzioni collaboratrice, Claudia Janine Nizza. Tangos è stato selezionato e proiettato in diverse Rassegne anche all’estero, come anche Man Ray Dance. Sono tre video di media durata, semi-narrativi. Uniscono secondo me realtà e stilizzazione. Dopo di che non ho più prodotto molto se non documentativo o didattico e spesso neanche montato da me. A parte, ma più per gioco che per una finalità seria, le brevi animazioni fotografiche in stop motion En Travestì e Vestiti Animati (di cui devo ringraziare il montatore Antonio L. Francia, se hanno avuto senso), in realtà anch’esse frutto e quasi a documentare alcuni miei interventi a carattere performativo/partecipativo


messi in atto a Firenze presso l’allora Sartoria Teatrale del Duomo, fra 2013 e 2015.

D- Un focus sulla tua opera, secondo te più significativa?

R- Più che un’opera specifica è un ciclo a cui ho poi dato nome We Are All Down. Lo stesso della già citata esperienza espositiva del 2018, nell’ambito del ciclo E’ Permesso presso la Galleria Gallerati (e poi MACRO Roma), dove ho potuto presentare alcuni dei lavori cardine del progetto iniziato nel 2008 e portato avanti, a fatica, spesso con l’aiuto di collaboratori per l’uso dei programmi di foto-ritocco o per le soluzioni allestitive e di editing. Non so se è il caso di dilungarmi, potrei inserire qui di seguito un estratto dal testo di Emma Ercoli scritto in occasione di quella mostra, in modo da fornire un’idea sul lavoro: “Il processo di individuarsi, trasformandosi, non è nuovo nella sua attività artistica: già in opere del passato la presenza della maschera o del travestimento aveva introdotto il tema della trasformazione e del desiderio che la sottende. Per quanto riguarda i ritratti occorre dire che la serie dei morphing era già iniziata nel 2008 con Two Water Drops ed era stata ripresa nel 2010 e nel 2016. Adesso, come allora, le immagini sono accompagnate da testi estrapolati da un capitolo del libro Tra presenza e assenza di R. Barilli, in cui si parla delle tecniche narrative adottate dagli autori del nouveau roman, del < ... furioso ricorso all'effetto dell'infinitazione, della mise en abîme, ...  della duplication interieur ...>. Particolarmente caro a Arduini è il breve estratto che riguarda lo scrittore Alain Robbe-Grillet, in riferimento soprattutto ai suoi primi due romanzi Les gommes e Le voyeur, in cui si parla di "malattia" e di quei "connotati autentici" che le persone "sane" non riescono più a vedere.”

D- Secondo te, tra i medium video e cinema quali differenze?

R_Ormai non più molte se parliamo dal punto di vista tecnico. O se parliamo di
autori (artisti) che decidono di produrre dei lavori di medio e lungo metraggio e che
molto spesso rientrano più nel circuito di fruizione Movie che non quello delle Arti
visive. Non di rado i registi affermati o meno che conosciamo hanno dei trascorsi
nelle arti visive. Così come altrettanto frequentemente il linguaggio video lo si può

usare e declinare in funzione di ciò che si vuole manifestare e allora potrà appartenere

ad un contenitore o all’altro o anche restare in una zona di confine. Ci sono artisti che
quando fanno dei film diventano registi ed altri che restano “artisti”. Posso fare i
primi tre/quattro nomi che mi vengono in mente su due piedi, di autori che nati
nell’area “arti.visive” facendo “films” restano, transitano o si avvalgono dei due
“contenitori” : Cindy Sherman, Julian Schnabel, Matthew Barney e Shirin Neshat.
Ma anche nel senso che molto poco perimetrabile è diventato l’uso e gli ambiti di
ricerca dello strumento di “ripresa”. Per rendersene conto è sufficiente frequentare

alcune delle manifestazioni più importanti in giro per il mondo come Biennale o
Kassel o farsi un giro negli States o più semplicemente nelle Gallerie private o
pubbliche di Londra, Parigi o Francoforte. Sebbene poi in definitiva le differenze ci
sono perché i tempi, le aspettative e la narrazione nella concezione di un prodotto
fortemente appoggiato sul visivo o su istanze estremamente specifiche e minimali di
contenuto, possono essere estremamente rarefatte come all’opposto dilatate.
Volutamente. Proprio per sondare altri aspetti sensoriali o concettuali. Il cinema oggi
è   invece sempre più entertainment, siamo inondati di produzioni americane, non sempre di qualità e si mantengono quote di mercato e di distribuzione ad un cinema alternativo al puro entertainment in percentuali basse. Ad ogni modo il discorso si va complicando e non voglio farla lunga. Direi però in conclusione che per un verso la video arte, così come la interpretano alcuni autori/artisti attuali, ha in qualche modo, secondo me, preso il posto di parte di quella produzione autoriale e indipendente, spesso anche a carattere politico ed “engagé”, di ricerca come si diceva una volta, soprattutto degli anni ‘60/’70/’80, che oggi non c’è praticamente più, almeno in occidente. O quanto meno è molto relegata. Poco sovvenzionata e ancor meno distribuita. Invece basta rivolgerci al repertorio dell’arte contemporanea che subito ci si presentano una miriade di possibilità e produzioni. Piccole, locali ma che spesso si caratterizzano per narrazioni vere e proprie. Basti pensare a uno come Santiago Serra ad esempio. Un artista che è difficile inquadrarlo semplicemente come artista-visivo. Ed anche collocare temporalmente e geograficamente il suo lavoro.

D- Dove va secondo te l'arte video o cinematografica postcontemporanea?

R_Ecco si direi che, la prima, dovrebbe andare proprio nella direzione di non porsi più come tema ed obbiettivo la contemporaneità.e in qualche modo questo sta succedendo. Parlo dell’arte del video (o video-arte). Né tantomeno quella di uno specifico linguistico. Infatti girando per Documenta o Venezia vediamo una grande quantità e modalità di pensare e produrre immagini in movimento. E poi c’è l’impatto col digitale e le tecnologie più avanzate. Credo che anche queste avranno sempre più spazio e sviluppo. Ma in definitiva se un giorno uno si dovesse rimettere a girare in super 8 con una pellicola prodotta o trovata chissà dove e un audio improntato al volo. Forse si, lui sarebbe più avanti di tutti! Il cinema è un’altra storia, si diversifica molto in quanto spesso prodotto di entertainment come dicevo, ma anche perché le produzioni sono svariate soprattutto per canali diversi dalle sole platee dei cinema, penso a tutto quello che è a pagamento e non, on demand, etc.. Come Net-flix ed altri. Quindì tenderà ad un’offerta sempre più personalizzata in quanto appartenente ad un “mercato” ma allo stesso tempo a strumenti tecnici e di comunicazione più standardizzati in quanto afferenti alla globalizzazione di questo mercato.

D- Anni fa sei stato protagonista al video festival internazionale di Ferrara, The Scientist, un ricordo?

R_Si ho partecipato a due Edizioni, la prima se non ricordo male nel 2011 e ovviamente il pensiero non può non andare a Vitaliano Teti che ne è stato l’animatore e l’artefice. In fondo se ho iniziato a frequentare con più regolarità gli ambienti e la città di Ferrara è anche proprio grazie a lui ed alla nostra amica in comune l’artista ferrarese e docente Nedda Bonini, che ci mise in contatto. Il Festival lo ricordo in quanto ero selezionatore di lavori di studenti dell’Accademia di Roma insieme al collega Enrico Pusceddu e con il quale si sta pensando di dedicargli una serie d’incontri, l’anno prossimo, nell’ambito di In & Out, che è si una rassegna dedicata agli ambiti della grafica editoriale e simili, ma che spesso accoglie nelle sue giornate anche dei focus su altri linguaggi e medium. Poi credo di aver partecipato l’anno seguente come artista con un mio video, ma non andai alla manifestazione. Che però mi sembrava cresciuta e bisogna riconoscere i meriti del suo creatore. Con Vitaliano abbiamo continuato a sentirci ed incrociarci negli anni successivi una delle ultime volte l’ho visto in un piccolo caffè di Ferrara, credo fosse il 2015, fine Primavera ed io ero già abbigliato in modo estivo e Vitaliano lo sottolineò, appena mi vide disse: ”già stai con i pantaloncini corti?”. Lui era già malato ma stava lottando. L’ho risentito alcune volte negli anni a seguire. Poi è andata com’è andata.

D- Il tuo eclettismo include anche la Grafica d'arte (sei docente all'accademia delle Belle Arti di Roma..) e la poetica, un approfondimento?

R_Questa è una bella domanda. Direi che sono soprattutto docente. Ho tre corsi (tre
cattedre per così dire) e tutte si occupano di ambiti grafici e di processi di stampa.
Attività ed attitudini che ho coltivato sin dai tempi dell’accademia ed anche prima
(durante il servizio militare ero impaginatore nella tipografia della Caserma!). E
l’impegno che riverso in quest’attività è stato negli ultimi 7/8 anni sempre maggiore
tanto da rallentare molto il mio lavoro di ricerca sui territori e i linguaggi a me
consueti come quelli del video o in ambito di scrittura. Ma credo in fin dei conti che
quando faccio qualcosa ho essenzialmente un carattere “grafico” che mi porto dietro.
Una tendenza alla stilizzazione, all’uso del testo in modo visivo. Anche da pittore,
quando dipingevo ad olio per esempio, oppure successivamente quando ho iniziato a
cercare un’iconografia che mi fosse aderente, laddove utilizzavo e sperimentavo
materiali diversi, credo di aver sempre mantenuto un senso forte per lo sfoltimento
cromatico da un lato ed il disegno dall’altro. Infatti per me il disegno è un elemento
finito come una fotografia o un video. Raramente lo considero come momento di
studio. Come pure, tornando al testo, l’immagine del testo, la parola tracciata, la
forma della scrittura e della stampa del carattere, hanno da sempre catalizzato la mia
attenzione dal mero visivo. E più che mai attualmente c’è un interesse per la forma
“scritta” che ritorna e si manifesta in vari modi e diverse strategie. Ad esempio, per
tornare alla didattica, credo che all’Accademia di Roma sia l’unico che parla e dedica
agli studenti una lezione specifica sulla Poesia Visiva, Concreta e le ricerche verbo-
visuali. E dunque ritornando alla definizione di eclettismo, che in parte condivido, io
direi citando il titolo della mia prima serie poetica, (per intero si può trovare in rete
sul mio sito: http://www.massimoarduini.it/project/poetry/ ) di essere “Labile e
Versatile”. Nel senso che le mie passioni artistiche, culturali sono mobili e incostanti.
Si adattano. Mi piace essere molto fuori contesto e contro la cultura dominante.

Vivere una forma di anonimato, come dicevo all’inizio. Anti-establishment anche e in
difensiva (diciamo così) nei confronti del Mercato e del sistema, “curatori-gallerie-
collezionismo”. Ricordo spesso, con un paragone irriverente, che quando
domandavano a Gino De Dominicis (che poi cmq. del sistema ha finito per farne

parte, inevitabilmente quando ti incominciano a comprare quadri a suon di dollari ed
inizi a vendere anche l’aria – come Manzoni..) cos’è che tenesse unito stilisticamente
il suo lavoro lui rispondeva provocatoriamente, come al solito, sono io che lo tengo
unito. Ma questo aveva molto senso. In qualche modo affermava sia il ruolo
incontestabile dell’autore, che in quei periodi proprio iniziava ad essere messo in
secondo piano dal “sistema” appunto, sia che l’autore/artista produce in base a ciò
che vuole dire e non in base a ad uno “stile”.



D- L'arte oggi a Roma Capitale (dove vivi), secondo te, succintamente?

R_Ma, cosa posso dire. Seguo e non seguo. Secondo me è sempre una faccenda di rapporti politici ed economici territoriali, sia per quanto riguarda le Istituzioni che le realtà private. Forse poco meno Accademie e Centri culturali stranieri, come pure alcune realtà defilate o alcuni giganti come Gagosian. Ma ad ogni modo a Roma non si scappa devi intessere scambi a vario livello ed appartenere alla tribù! E questo dal MAXXI ai Centri Sociali. Sul discorso “qualità” direi che se poi emerge è frutto delle relazioni internazionali in un certo senso, che comunque ci sono o di iniziative singole lungimiranti. Sempre meno a dire il vero. Stiamo comunque parlando di una grande metropoli decisamente attiva e sempre ricca d’iniziative. Ma per me Roma, paradossalmente, resta “provinciale” come mentalità e come atteggiamento se paragonata ad altre capitali o grandi/medie città europee o d’oltre oceano. Non ho girato granché il mondo in prima persona ma un’idea me la sono fatta informandomi per vari canali. In Europa qualcosa ho visto e dunque penso di poterlo dire. E’ un peccato e allo stesso tempo un gap da recuperare (non so come). E questo vale non solo per l’arte ma, come vediamo ormai da diversi anni, anche nei rapporti sul territorio, in ambito sociale, nei servizi, nel senso di civiltà e del rispetto delle regole: l’involuzione ed il degrado aumentano. Il mal funzionamento di due aziende fondamentali come quella dei trasporti e della nettezza urbana non sono anomalie ma il risultato di questa generale regressione. Non dimentichiamoci di “mafia capitale”. Altro che Roma Capitale..


D- Hai svolto anche attività curatoriale, come ci accennavi e di critica ci dici qualcosa in conclusione?

R_Brevemente posso rimandare sempre al mio sito nelle diverse pagine aprendo

l’home, dove ho documentato le iniziative più recenti, le mostre e gli allestimenti del 2011 e 2012. Poi ancora nel 2016 e nel 2017. Sempre sui Libri d’Artista ed il Fine Publishing. Ciò è avvenuto nelle sedi di dell’Accademia di Roma di Campo Boario. Sia in collaborazione con lo studio Campo Boario, con il titolo: Batiment de Livrès e Piramide Channel gestiti da Alberto d’Amico entrambi e anche da Tino Franco il secondo. Con Alberto ci legano svariate collaborazioni nel corso degli anni, partendo da Piccole Ossessioni mostra del 2007 di giovani artiste donne in collaborazione con S. Horvatovicova. Seguita poi dalla serie di appuntamenti fra arte e cinema Incontri Ravvicinati in cui abbiamo chiamato a collaborare diversi critici, credo di ricordare fosse il 2009. E poi ancora Batiment d’Amie, nel 2013. Una manifestazione che ebbe un ottimo livello d’interessamento sulla scena romana. Cui seguirono diversi altri appuntamenti con sole proiezioni di video fra il 2015 e il 2016. Anche in collaborazione con Nel Blu Studios di T. Franco già nominato. E ancora sempre nello Studio Campo Boario una rassegna di poesia, con letture e performance varie che che fu Poesia, Arte, etc… con Lamberto Pignotti, nel 2017. Inoltre come non citare la ressegna di incontri organizzata presso l’Aula Magna dell’Accademia di Roma in collaborazione con Roberto Piloni “Ogni 15: conversazioni d’artista” a cavallo degli anni 2016/17. Di cui esiste un video editato dalla Documentazione ABARM.


E poi tutti i miei articoli per la Rivista In Sight prodotta dalla Scula di Grafica Editoriale di Roma per mano del collega Enrico Pusceddu, ormai al numero 8 ed cui qui non vi tedierò citando uno per uno gli articoli ma rimando al sito della rivista on-line: https://insight.abarm.it/category/pubblicazioni/magazine/. Oltre a varie altre mie pubblicazioni su cataloghi o magazine, su tutte il libro “Camera Book: esperienze condivise. Libri, Immagini, Laboratori”, del 2016.



Roma settembre/ottobre 2019