Pierluigi Casalino LA QUADRATURA DEL CERCHIO. ROUSSEAU E LA POLITICA


 
Jean-Jacques Rousseau | http://www.estacaoliberdade.com.br/autores/rousseau.htm
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Il fondamento della filosofia politica di Rousseau si trova nella sua antropologia. E la concezione dell'uomo si identifica in definitiva, per Rousseau, in quella della politica. La politica, quindi, è determinata infatti come misura della dimensione umana al punto da costruirne la verità. Da tale visione della politica discendono, per evidente, necessaria conseguenza, tutti gli spetti del pensiero del filosofo ginevrino che costituiscono le numerose facce di un unico problema. Con l'attribuzione al diritto di una dimensione o funzione esclusivamente positiva, attraverso un netto rifiuto tra l'individuo e lo Stato, intesa anch'essa a rompere una tradizione, quella liberale. Così il concetto di eguaglianza e quello di libertà, sono spiegabili solo in base a tali premesse teoriche. E in questo modo, dunque si registra l'abbandono, tanto difficile in pieno Illuminismo, del concetto di ragione, nel nome di una razionalità talmente universale da risultare necessaria e storica. Tuttavia l'analisi di Rousseau presenta un limite, limite rappresentato dal mancato raggiungimento del fine che il pensiero di Rousseau si proponeva. E lo stesso filosofo di Ginevra ne è consapevole nel momento dell'abbandono della riflessione squisitamente politica.: un filosofia dell'essere, volta a ristabilirne il primato. A questo fine è orientata la speculazione di Rousseau, finalizzata ad elaborare uh modello politico che ristabilisca tale primato nella società futura. Così l'immobilismo funzionale del modello di Rousseau è superato solo mediante la "ruse", l'astuzia del precettore, l'inganno del legislatore ("main cachée"): entrambi mostreranno le cose non quali esse sono, ma quali si deve creder che siano, esprimendo l'apparire e non l'essere. Nel "Contract social" il legislatore per persuadere "fa parlare gli dei", mettendo "nella bocca degli immortali" le proprie decisioni. Il trionfo finale e definitivo del "parai^tre" traspare dalle note del "Devin du village", dove l'indovino (la figura direttiva dell'opera) provoca l'amore tra Colin e Collette, mediante una serie di inganni e di sotterfugi. L'introduzione delle figure "direttive", degli artefici dell'apparenza risponde ad una necessità di ordine pratico. Necessità dunque di correggere e di superare quello che, in sostanza, è il vero "controsenso filosofico" della concezione di Rousseau. Tale "controsenso", che Hegel erediterà intatto, è l'assegnazione di una volontà universale. Il concetto di "volontà generale", che in termini hegeliani sarà tradotto in "volontà dell'universale", non ha infatti un senso. Hegel definirà la coscienza individuale, la coscienza che non si ritrova nell'universale, come la"coscienza infelice". In questo senso il totalitarismo è stato definito come "felicità fatta Stato". L'ideale di questa felicità statale è pagato in Rousseau con il "suicidio dell'unico" che il contratto sociale rappresenta. Rousseau ha però il merito di intuire la portata del problema. Nella "Lettre à Mirabeau" paragonerà il problema teorico della democrazia, in politica, a quello della quadratura del cerchio, in geometria. Simile paragona costituisce dal punto di vista teorico l'epilogo di un tentativo di costruzione risoltosi nell'antitesi tra "democrazia austera" e "dispotismo arbitrario", antitesi che, è stato da più parti rilevato, può anche essere letta come perfetta identità. Rousseau è dunque pessimista su questo punto e alla domanda se sia possibile una forma di governo autenticamente democratica, risponderà: " Je crois qu'elle ne l'est pas". In questo contesto il problema geometrico della quadratura del cerchio diventa un problema unicamente politico. E in politica, soprattutto in politica, il cerchio viene quadrato. Resta da stabilirne il prezzo. La patologia della democrazia, cioè la sua degenerazione totalitaria  (si parlerà, infatti, di "democrazia totalitaria" nel caso di regimi che concepiranno, ad esempio, la "dittatura del proletariato" come l'espressione più elevata della democrazia, generando inevitabilmente mostri di proporzioni immense). Si ricordi, in proposito, l'esemplare ed indimenticabile dialogo tra O' Brien e Winston in "1984" di George Orwell.