Intervista al poeta-scienziato Alex Gezzi
D- Alex: poesia, teatro e scienza, forse questo il leitmotiv della tua ricerca costante, esatto?
In realtà, credo di essere nato affetto da un'ossessione, da una vera e propria forma maniacale per tutto ciò che concerne
Potrei dire di essere alla continua ricerca di una poetica della didattica che a tutti permetta di approcciare argomenti sulla carta per niente facili. Ho sempre amato affrontare argomenti complessi, che mi sono divertito a sezionare – qualcosa di medico è rimasto, come puoi vedere – nel tentativo di renderli di facile comprensione. A me, prima che agli altri. Ed una volta che mi sembra di aver capito ecco la necessità di andarlo a raccontare, e non più solo con le parole ma anche con l'aiuto di una comunicazione che si avvale di diverse altre arti, quali musica, danza, pittura, poesia. Ed ecco entrare in scena TEATROSCIENZA, gruppo teatrale da me fondato, gruppo teatrale sulla soglia di tutte le arti, gruppo teatrale che insegue il desiderio di teatralizzare la scienza, desiderio che nasce, come detto, dalla necessità di meglio comprendere e di meglio diffondere tutto ciò che è conoscenza. Vengono concepiti, a tal fine, eventi creativi capaci di totalizzare tutti i linguaggi e tutte le forme in modo da affermare un approccio del sapere fondato sull'intreccio e sullo sconfinamento, restituendo quella totalità che l'univocità di un solo linguaggio difficilmente può dare. Ci sentiamo un po' come piccoli-grandi esploratori della conoscenza.
D- La scienza come arte e-o poesia, quindi?
La scienza come arte e l'arte come scienza. Penso proprio di si.
La costante è senza ombra di dubbio questa storia universale inerente
E sulle orme di questa storia mi sono imbattuto, per caso – come del resto, credo, ogni cosa nella vita – nel principio "arte come vita", ovvero in quella identificazione di teatro e vita, l'arte come riscatto dell'uomo, l'arte come liberazione al di là di ogni sovrastruttura. Binomio inscindibile tra arte e vita era la bandiera di un gruppo di artisti che all'inizio del secolo scorso ha rivoluzionato la scena dell'arte. A loro ho sempre guardato e continuo a guardare. A quel teatro dove l'attore non è in scena come nella vita, ma al contrario deve essere nella vita come è in scena. A quel teatro itinerante, di denuncia, popolare, teatro rivolto alla massa, teatro per tutti – o meglio – di tutti. A quel teatro di rifiuto del cosiddetto "teatro tradizionale" e che va alla ricerca di un teatro nuovo. A quel teatro fatto da attori-non attori, un teatro che incarna perfettamente l'ideale di attore-artista che l'attore-artista per eccellenza, Leo de Berardinis (rappresentante indiscusso del Nuovo Teatro Italiano del secondo Novecento, assieme al più noto Carmelo Bene), ci ha insegnato.
L'attore-artista è l'artefice assoluto dello spettacolo: non soltanto attore ma anche autore, regista, tecnico delle luci e del suono. Performer, in una sola parola. Paragone bizzarro ma più che mai azzeccato quello che associa l'arte contemporanea a un frullatore. Turbinio di immagini, suoni, colori, musica e parole mescolati insieme. Ribaltamento, sconquassamento emotivo, esperienza polisensoriale.
D- La cultura in Italia è ... moderna?
Moderna come le catene di una prigione dei tempi andati, la nostra cultura.
Come Narciso continuiamo a guardarci allo specchio ed a ripeterci quanto siamo belli, siamo in catene e la cosa paradossale (ma non troppo) è che ci piace pure stare incatenati. Qualsiasi forma di sperimentalismo è bloccata a priori. Il nuovo è visto come pericolo, come attentatore ad uno status intellettivo che di intellettivo ha ben poco. Il teatro e la scienza dovrebbero essere forze centripete nella cultura del proprio tempo, dovrebbero allargare le loro frontiere senza pregiudizi, attirare al loro interno fenomeni ed eventi che hanno origine e consistenza altrove. Che il teatro e la scienza debbano adempiere a una funzione di rigenerazione della società risulta essere cosa ovvia. Risulta essere cosa ovvia per pochi, evidentemente.
Non vi è amore e senza amore non vi è comportamento estetico e, di conseguenza, non vi è comportamento etico. Senza amore, senza estetica e senza etica non vi può essere cultura. La tecnologia è rimasta l'ultima frontiera, o ci riesce la tecnologia a liberarci dalle catene oppure è davvero finita.
D- Contro il passapresentismo... quale la tecnoterapia?
Occorre cambiare, bisogna cambiare.
Bisogna cambiare - in primo luogo, assolutamente - il modo di esporre le cose e non le cose, se quelle cose sono le cose fondamentali. E la cosa fondamentale, la cosa suprema, davanti alla quale non esiste distinguo alcuno è, e rimane,
In una società decadente, il teatro, se veritiero, deve riflettere il declino e, a meno che non voglia tradire la propria funzione, deve mostrare un mondo in grado di cambiare ed aiutarlo a cambiare. Il teatro permette di cambiare, raccontando la scienza cambia proiettandosi nel mondo che verrà.
La tecnoterapia potrebbe essere la interdisciplinarietà, nell'accezione che Roland Barthes dà al termine, ovvero non un tema analizzato dal punto di vista di più discipline, ma una sorta di fusione tra esse al fine di creare una nuova forma d'arte che appartiene e al tempo stesso non appartiene a nessuna disciplina. Esperienza più che mai proiettata nel futuro, esperienza che però non dimentica di voltarsi indietro per rendere omaggio a Giorgio Gaber e al suo Teatro Canzone, così come a tutti quei menestrelli soliti a intrattenere la corte così come il popolo, fino alle più recenti esperienze del Living Theatre che nella sua sperimentazione si proponeva come teatro nomade, itinerante, di strada.
"Dalle aule universitarie alle bettole di periferia, dai teatri alle piazze di paese, ovunque ad inseguir Bellezza" è, per concludere, lo splendido canto del mio gruppo.
25 marzo 2012