Postfuturismo: Homini&Domini... by L'Indro
PARTE 2
Proseguendo nella trattazione del libro Homini & Domini incontriamo fotografi che si rifanno alla questione sociale.
S. Keita, fotografo ufficiale del governo del Mali, nell'illustrare il passaggio dalla fase coloniale all'indipendenza in una società "artefatta", mira al cambiamento del suo popolo; negli scatti dell'italiano G. Berengo Gardin si ha lo specchio di una società rassegnata, legata al dovere e al lavoro, ma anche ai temi dell'amicizia e della solidarietà; F. Pinna, fotografo di scena di registi come De Sica, Visconti, Rossellini, Pasolini ecc., con Fellini elabora il sogno "come residua reale nicchia di esistenza". La raccolta di M. Cresci si intitola Ritratti reali e come ricordi sono gli scatti di Boltanski; A. Fuss riunisce figure di pre-esistenza individuale, che rientrano in uno stato primordiale da cui traggono dignità. I personaggi di S. Moon sono visti come atleti e valutati per le loro performances, ma senza più fisicità; la stessa smaterializzazione è in J. Klauke, che scopre nel mito e nelle origini un momento importante, mentre S. Calle fa leva sulla immagine più riservata e privata, intima, della persona ed A. Esipovich propone figure di anziani, spesso con difetti fisici, o attori o ex attrici mai divenuti famosi, con l'intento di superare l'anonimato raccontando la propria vita in pochi dettagli. M. Tichy, usando una macchina fotografica ottenuta con pezzi di recupero, raccoglie per oltre un trentennio "immagini rubate" con sguardo da voyeur, la cui resa non precisa è segno di erotismo non consumato, bloccato.
Nel capitolo Trasgressioni si parla del rifiuto di certe condizioni della vita civile da parte di artisti che intendevano muovere critiche alla società e alla cultura, viste come responsabili di effetti negativi sul corpo totale dell'individuo. Tre sono le linee lungo le quali si è svolta questa denuncia d'avanguardia: 1) l'asse Duchamp-Man Ray e la fotografia concettuale; 2) la poetica della crudeltà; 3) la fotografia femminista.
A cominciare dal celebre Nero e bianco del 1926, con la contrapposizione fra il candido volto di Kiki e il nero della maschera africana, si riflette l'anomalia fra Occidente e Oriente, orizzontale e verticale, in un rinvio di suggestioni che rimanda all'arte concettuale e ai suoi rilanci oltre i confini della comprensione umana. La crudeltà verso il corpo per l'autore è un segno di disagio esistenziale e trasgredisce l'ordine normale delle cose che tende a salvaguardare la fisicità.
G. Pane, una delle protagoniste della Body Art, intesa come mezzo di espressione nonostante l'autocontrollo emotivo e la sobrietà dei gesti, tende a rappresentare il corpo come spazio d'arte, in cui dolore fisico e stress mentale servono a uscire dalla gabbia cui ci costringe la vita. Sempre degli anni Settanta C. Burden, che osa su di sé fino a farsi sparare ad un braccio, vuole dimostrare che la trasgressione è il recupero del principio di volontà e di autodeterminazione fino al consumo estremo del corpo. Diversa la provocazione di Nobuyoshi Araki che vede nell'erotismo, spinto fino al bondage, un modo per superare l'appiattimento della vita quotidiana. Di taglio politico invece la foto-performance del cinese Zhang Huan, autolesionista per dimostrare l'imperturbabilità dell'anima e della mente davanti alle costrizioni sociali e morali che imprigionano l'uomo.
L'aspetto femminista nel recupero del proprio corpo, ispirato da S. de Beauvoir e B. Friedan, si sviluppa sin dagli anni Cinquanta e mira a restituire alla donna la piena gestione di sé, anche come scelte in relazione al cibo per non adattare la propria immagine a quanto voluto dalla società maschile (E. Antin), o nel linguaggio delle mani non più intese come mezzo di lavoro (K. La Rocca), ma anche quale ribellione ai condizionamenti della società e della politica che una donna può attuare con la sua innata pietas e l'istinto materno (M. Abramovic), fino ad esaltare la scrittura poetica sul corpo stesso, a dispetto delle limitazioni imposte dal mondo islamico (S. Neshat), e alla celebrazione della possibile schizofrenia cui il ruolo femminile ci condanna (O. Pamici).
Chiude il volume il capitolo Utopie che si divide in quattro diversi filoni: Uomo Meccanico (che trae origine dal Futurismo e prosegue con i fratelli Bragaglia, il video-artista V. Acconci, A. Rainer, D. Oppenheim, J. Fontcuberta, M. Barney), Uomo Speculativo (tributario della moderna filosofia del linguaggio fino alla linguistica, di cui ricordiamo R. Opalka, il multimediale Patella, M. Pistoletto, G. Paolini, F. Vaccari), Doppia Conoscenza (in bilico fra sapere e immaginazione, che risale agli anni Venti con E. Weston, e poi Alvarez Bravo, H. Cartier Bresson con i suoi reportage, A. Tagliaferro, G. Penone, W. Tillmans, S. Camporesi) e Arte del Marcire (che, ponendo a base di tutto il pensiero cinico, nega alla vita umana qualsiasi speranza o redenzione: E. Erwitt e L. Ontani).
http://www.lindro.it/cultura/2013-07-03/90138-homini-domini-la-fotografia-sociale
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