Angelo Giubileo : La stella caduta

 

La stella caduta

L'emergenza dal caos indistinto genera immediatamente le strutture fisiche (da cui deriva la parola inglese figura) che appaiono ai sensi e alla mente, e ancor prima, sembra proprio che dica Pitagora, in forma di suoni. Tali strutture importano quindi una relazione, per l'appunto necessaria e dunque necessitata, tra ciò che Plutarco dirà una parte, le parti e l'intero. Tutto diventa dunque studio e analisi della relazione o meccanica dei corpi terrestri e celesti. Dapprima fissando l'attenzione a ciò che appare immutabile, e invece non lo è; così che, annota saggiamente il Breasted (da G. de Santillana), il culto stellare ha preceduto il culto solare inaugurando e sviluppando anche in seguito un processo comune di catasterizzazione.

Tutto diventa movimento - direbbe Esiodo che è così che ha origine il tempo - o trasformazione, dirà poi invece Aristotele, ma più saggio di lui è Ovidio, che parlerà ancora di mutamento (metamorfosi); mentre ciò che permane immutabile è la forma. Sia anch'essa originaria del Caos o del Dio-architetto e poi fabbro, così che anche ciò che Anassimandro chiama in termini fisici il Substrato o la più antica progenie chiama il divino non è altro che forma. I medievisti avrebbero poi in qualche modo confermato dicendo che nomina nuda tenemos, ma riprendendo esattamente ciò che aveva detto Parmenide.

Il compito diventa dunque quello di svolgere la relazione, tra la sostanza – di lì a poco non più definita in termini anassimandrei ma aristotelici – e le forme eraclitee, originate dal sacro fuoco della tradizione vedica e prometeica, dell'essere parmenideo. Traendo sempre spunto dagli scritti di Giorgio de Santillana, Anassimandro dice che Se non possiamo stabilire un limite specifico, sarebbe meglio dedurre che non ve n'è alcuno. Il commento di de Santillana, che non si fa attendere, è il seguente. E tuttavia, prima mi corre l'obbligo di dire che tra parentesi è invece inscritto il mio diverso appunto.

E dunque: E' questo il modo di pensare che costituisce la forza e l'apertura della fantasia scientifica (episteme) in confronto ad altre forme: assume rischi calcolati, col crearsi le simmetrie sue proprie, può giocare con le possibilità; può dedurre ciò che è da ciò che non è, senza perdere la sua coerenza (ma finisce sempre con il perdere la coerenza).

Pitagora pensò di approfondire la relazione. E lo fece mediante la teoria del numero corrispondente alla teoria delle idee di Platone, che, dice bene Plutarco, sarà causa del fraintendimento per tutti i secoli successivi, determinando in qualche modo l'allontanamento dall'unica via tracciata da Parmenide in scia al percorso del carro guidato dal Sole, prima che anche il figlio Fetonte fosse assunto da Giove in cielo in forma di stella e con il nome di Auriga. Pitagora, invece, non sembrò che avesse lasciato fraintesi. Senza attendere quelle che saranno le conclusioni dei teoremi d'indecidibilità (1931) del matematico austriaco Kurt Godel, G. de Santillana, moderno Ippaso, rivela:

"Sta bene definire la realtà come corpo geometrico, il cosmo stesso, perfettissimo Essere concepito come racchiuso nel dodecaedro come in uno 'scafo' e delimitato dalla sfera del fuoco olimpico, tutta la realtà come plasmata dalla Decade (n.d.r.: Tetraktys divina) in una forma (il corsivo è mio) unificata e una distinta struttura; ma se qualcuno pone la domanda indiscreta 'Tutto questo in che cosa si trova?' il grande Archita è pronto ad affrontarla: 'Supponendo', egli dice, 'che io arrivassi ai limiti estremi dell'universo e spingessi fuori il mio bastone, che cosa troverei?'. La vaga risposta generica 'il nulla', rimane invalidata, poiché se in quel nulla ora è inserito un bastone, vuol dire che almeno esso può esservi contenuto. Quindi deve esserci uno spazio (il corsivo è mio), come qui. Siamo così tornati a quello che ci aveva suggerito il principio di ragion sufficiente – l'Illimitato". O altrimenti detto, e preferisco: il senza-limite di Anassimandro.

E cioè quella stessa forma originaria poi fisica del Substrato - così lo chiama Anassimandro, pervenuto alla fine, in breve, del discorso mitologico e all'inizio del discorso scientifico -, che in epoche remote aveva piuttosto assunto la forma del divino, come bene riassume Aristotele in un passo poco noto della sua Metafisica: I nostri progenitori delle più remote età hanno tramandato ai loro posteri una tradizione, in forma di mito, secondo cui questi corpi sono dei e il divino racchiude l'intera natura. Il resto della tradizione è stato aggiunto più tardi in forma mitica …

Ma, oggi, a che punto siamo della relazione? Già da qualche tempo, a partire direi dall'inizio del secolo scorso, è in corso un altro tentativo, che è quello che studia la meccanica dei corpi suddetti distinguendo tra "reali" e "virtuali", così che nuove forme si prospettano all'orizzonte fisico dellìessere.

In qualche modo, concludo allora e ancora con de Santillana: Creuzer (in riferimento al grande Pan) dichiarò subito che si trattava di Sirio, prima stella del cielo, perno dell'astronomia arcaica. Aristotele (Rhetorica, II, 24, 1401 a 15) dice che, volendo circoscrivere un 'cane', ci si poteva servire della 'stella-cane' (Sirio) o di Pan, perché Pindaro afferma che egli è 'il multiforme cane della Grande Dea' (da Il mulino di Amleto, prima edizione 1969). E, sempre in qualche modo, voglio qui dire al mio amico Roby, da qui sono passati solo cinquant'anni.

                                                                                                                                                             

Angelo Giubileo