Il transumanismo è la questione dell’immortalità



 
Da: Angelo Giubileo

Il transumanismo e la questione dell'immortalità

La filosofia "transumanista" opera all'interno di un discorso (per i classici Greci, logos) darwiniano, e pertanto chiamiamolo, alla maniera di Parmenide, "evoluzionistico" più propriamente dell'uomo o di ciò che in genere chiamiamo "umano".
All'interno di questo discorso in generale si discute in particolare delle prospettive di mutamento della "natura" o "struttura" umana, ritenuta nient'affatto fissa e immutabile, e quindi non "originaria", alla maniera che è ancora di Emanuele Severino, ma in costante cambiamento o per l'appunto evoluzione.
E tuttavia, all'interno dello stesso discorso transumanista, questo approccio costituisce solo una parte del campo generale di analisi e di ricerca. A mio parere, all'interno del discorso si determinano infatti due diverse prese di posizione che derivano da due differenti approcci: il primo di tipo sistemico, per così dire relativo a ciò che sarebbe propriamente umano e quindi di "parte", il secondo di tipo sistematico, che opera in un orizzonte di prospettiva universale, e quindi relativo all'"intero" o a ciò che i suddetti greci chiamavano "cosmo" o, a detta di Parmenide, l'"essere".
Ritengo che, in apertura, il significato di questa differente impostazione del discorso si colga efficacemente attraverso le seguenti parole che sintetizzano parte dell'indagine promossa e sviluppata da Riccardo Campa, il quale nell'ambito del pensiero transumanista non ha certo bisogno di presentazioni. Ovvero: i rapporti tra transumanesimo e scienza intesa come sapere teorico, ossia come sforzo di conoscere il mondo, al di là delle possibili applicazioni pratiche della conoscenza (Mutare o perire – La sfida del transumanismo, pag. 12).
Questo approccio palesemente sistemico, in quanto fa riferimento a uno sforzo umano di conoscere il mondo, potrebbe giudicarsi insufficiente a garantire una prospettiva d'azione o un trend di sviluppo tecnologico, così come dice bene Campa, garantito già nel presente anche "per" il futuro. E qui, aggiungerei, non "in" futuro, dato che, a citar il personaggio forse più emblematico dell'"umanesimo" che è stato, del futur non v'è certezza.
Così che l'approccio, che ho definito sistemico, diventa quello di mutare l'essenza umana, come Campa sintetizza nel saggio citato. Oppure: perire, secondo l'ottica e la prospettiva attuale anche della filosofia "bioconservatrice", ma che appartiene parimenti all'intera cultura predarwiniana di matrice sia nihilista che teista.
Nello stesso saggio, immediatamente in apertura, Riccardo Campa cita alcune frasi del Poema sulla natura di Parmenide, sottolineando che "aveva avvertito 'che l'essere è ingenerato e imperituro, infatti è un intero nel suo insieme, immobile e senza fine' e che per l'essere (umano) 'saranno nomi tutte quelle cose che hanno stabilito i mortali, convinti che fossero vere: nascere e perire, essere e non essere, cambiare luogo e mutare luminoso colore'. Ciò che è soggetto a nascita, morte, divenire è solo l'apparenza". E conclude, Campa: "Eppure, queste sagge parole non riescono a consolare. L'uomo continua ad avvertire la morte come un evento decisivo, cruciale, tragico che ne segna tutta l'esistenza. Di qui la sua strenua lotta per esorcizzarla con miti e riti religiosi o per allontanarla nel futuro con rimedi pratici" (Ibidem, pag. 8)
E tuttavia, un tale approccio lo ritengo esclusivamente di tipo sistemico, relativo cioè a un punto di vista - e non a una "condizione", che rispetto all'intero essere è essenzialmente umana - che non apre l'orizzonte di senso a una prospettiva viceversa di tipo sistematico o all'intero essere di cui l'uomo è parte.
La preoccupazione di Riccardo è senz'altro quella, come abbiamo qui già accennato, che la causa, la ragione, la spinta all'azione transumanista possa anche esaurirsi eventualmente sovrastata da altre, e in primis quella bioconservatrice. Per cui non resta che: mutare o perire.
Su questo, però, il mio punto di vista è diverso, ritenendo che un futuro transumanista sia inscritto nel "destino" - ovvero, alla maniera di Emanuele Severino: lo stare dell'essere e l'essere dello stare medesimo - stesso di ciò che chiamiamo ancora umano. Il mio punto di vista deriva da una differente prospettiva, sistematica, che è conforme alla risoluzione già ribadita e precisata nell'antichità da Plutarco circa l'accusa che la più antica dottrina filosofica dell'epoché, meglio nota come "sospensione del giudizio", in definitiva spingesse o conducesse gli uomini all'inazione o aprassia. E quindi, anche in un'ottica darwiniana, alla morte. Così che, anche nell'attualità, la stessa filosofia transumanista non potrebbe in alcun modo prescindere dal fine esclusivo dell'immortalità.
Ma l'accusa, così come allora e ancor prima, può sempre essere validamente ed efficacemente respinta e sempre allo stesso modo. In particolare nell'adversus Colotem, Plutarco rende esplicita la dinamica, che da un punto di vista umano potremmo definire viceversa teoria, dell'impulso. E' l'impulso (plutarcheo) - quale che sia, e innanzitutto non importa da dove derivi, in specie anche dall'uomo ma in genere dalla Natura - che spinge l'uomo all'azione e verso quel destino che, eternamente ovvero secondo la dinamica del tempo, gli appartiene. Un destino che, nell'attualità, assume il nome, la forma ed essenzialmente il modo transumanista.
 
Angelo Giubileo