M&A, qualche considerazione sul post Covid-19



 


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Newsletter N° 236 del 22 aprile 2020

M&A, qualche considerazione sul post Covid-19


di laura morelli


Dal punto di vista finanziario questa crisi può sembrare un deja-vu: ci sono il crollo delle Borse globali, la paura per i posti di lavoro e la brusca frenata delle operazioni straordinarie. L'm&a, ahimè, non fa eccezione, anche se è andato meglio di quanto ci si potesse aspettare, come abbiamo avuto modo di evidenziare anche in questo numero di MAG.
Guardando ai numeri, dopo un inizio dell'anno positivo il primo trimestre di quest'anno si è chiuso con un bilancio pari a 95 operazioni per un valore complessivo di 9,5 miliardi di euro, stando ai dati Mergermarket, rispetto allo stesso periodo del 2019, che ha registrato 127 deal per 4,2 miliardi.

Lo slancio iniziale si è poi gradualmente ridotto quando la pandemia di Covid-19 è esplosa e sono state messe in atto le misure di allontanamento sociale e lo stop a tutte le attività, tanto che a marzo si sono registrate solo 14 operazioni per 978 milioni, dei quali 435 riconducibili alla cessione a Unicredit del 32,5% di la Villata, il polo immobiliare che ha in pancia buona parte dei 159 supermercati di Esselunga.

Ora la domanda che tutti ci poniamo è: quanto tempo ci vorrà prima che il livello delle operazioni torni a prima della crisi? Sarà diverso dalla crisi finanziaria del 2008, dalla quale ci sono voluti almeno sette anni per tornare al livello precedente?

Le aspettative per il momento sembrano alte. Se ormai è chiaro a tutto che ci sarà un forte rallentamento dei volumi probabilmente per tutto quest'anno, in quanto aziende e venditori stanno cercando di valutare dove si sta muovendo il mercato e quale sarà l'impatto sui singoli settori, in attesa che le valutazioni si stabilizzino, per molti advisor la ripresa sarà più veloce perché una volta ripartita l'economia, una volta che le imprese riapriranno le saracinesche e le persone potranno di nuovo uscire fuori dalle amate e odiate quattro mura di casa, la ripartenza vera sarà più rapida. 

Potrebbe essere un ragionamento corretto ma non tiene conto di una questione: il mercato del lavoro. Quando le aziende ripartiranno e torneremo a goderci la sensazione sul viso dell'aria più o meno pulita del luogo in cui troviamo e il traffico cittadino, bisognerà fare i conti in tasca alle persone e valutare la loro capacità di spesa. Ciò vale in prima istanza, ça va sans dire, per tutte quelle imprese che lavorano nel consumer e in settori simili.

Un secondo ragionamento che possiamo fare è proprio su questo tema. Alcuni settori stanno soffrendo più di altri e qualcuno in particolare - il turismo o i trasporti ad esempio - è letteralmente a terra. È ovvio che gran parte della ripresa dell'm&a girerà attorno a determinati comparti, determinando la supremazia di certe aree di attività rispetto ad altre. La tecnologia, ad esempio. E il trend è già avviato. Nel 2019, a livello globale, il 22,2% dei deal ha coinvolto imprese tech, nel 2008 era stato il 7,9%, secondo una ricerca di Acuris. Fra gli altri settori, il pharma è cresciuto dal 6,8% a quasi un 10% dei deal totali mentre i servizi alle imprese dal 14,3% al 15,3%. Di contro sono calati il consumer (da 16,2% all'11,4% delle operazioni globali) e l'industria/chimica (da 24,8% a 19,1%). 

Un terzo aspetto, da non sottovalutare, è il ruolo dei private equity. Nell'articolo dedicato ai deal in corso di questo MAG, la maggioranza coinvolge un fondo d'investimento. In questo periodo la prima preoccupazione per quasi tutti loro è la messa in sicurezza delle partecipate. Ma a livello globale di sono ancora 2mila miliardi di dollari di dry powder da spendere e un quarto di questi risiede  in Europa. Risorse che rendono più resiliente il comparto, nel quale chi ha capacità di spesa potrà approfittare dei multipli che inevitabilmente, soprattuto come abbiamo visto in certi settori, cadranno. Nel primo trimestre 2020, a livello globale, il multiplo mediano sull'Ebitda è sceso a 11,1x dal 12,1 del 2019 e ci si aspetta che questo valore continui la sua discesa, ribaltando il dominio del mercato: dai seller ai buyer. Di conseguenza, chi avrà risorse a disposizione e poca o bassa difficoltà nella messa in sicurezza delle società in portafoglio, avrà la meglio. A patto che gli imprenditori - e penso a quelli che guidano le medie imprese italiane - vogliano davvero vendere o sentano l'esigenza di consolidarsi. 

Molto dipenderà, dunque, da quanto e come ripartirà la domanda, più che l'offerta, e da quanto i fondi, o le aziende più grandi, sapranno giocare questo ruolo di aggregatori in settori frammentati ma in forte crescita. Fermo restando che più prosegue il lockdown indiscriminato, meno saranno le certezze - e le risorse - per dare il via alla fase post-crisi.   


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