Il ritorno ....di Obama web world president, per l'Africa 2.0


*Finora sconcertante quasi e debole in politica estera, con la degenerazione in Iraq e Medio Oriente, finalmente un sussulto degno dell'OBAMA che la Rete quasi decretò come presidente non solo degli Usa, ma del mondo... nota di Asino Rosso

http://www.cronopolitica.it/2014/08/06/gli-usa-puntano-sullafrica-obama-pronti-33-miliardi-di-dollari-da-investire/

Gli USA puntano sull'Africa. Obama: «Pronti 33 miliardi di dollari da investire»


http://www.repubblica.it/esteri/2014/08/06/news/obama_aiuter_la_mia_africa-93226328/

Obama: "Aiuterò la mia Africa"

Diritti umani e sviluppo, risoluzione dei conflitti e futuro dell'economia. I paesi africani protagonisti del vertice alla Casa Bianca con decine di capi di Stato. Parla il presidente americano: "Adesso il mondo deve accompagnarli nella fase della crescitaL'AFRICA, il mondo emergente, Cina, Russia e i conflitti nel mondo: Barack Obama, a Washington per presiedere proprio il vertice sul futuro del continente africano, risponde sui principi che ispirano la sua politica estera.


L'Africa è la prossima grande opportunità emergente. C'è il Lagos, pieno di imprenditori, ma anche il nord della Nigeria, con tante minacce. L'America è in grado di guidare l'Africa nel periodo che si apre, come fece in passato con i paesi emergenti dell'Asia, quando Kissinger andò in Cina?
"L'America non ha intenzione di farlo da sola, ma può essere centrale nell'accompagnare l'Africa nella prossima fase di crescita e per la sua integrazione nell'economia mondiale in un modo vantaggioso per i popoli dell'Africa e non solo come fonte di risorse naturali. Le aziende americane continuano ad essere una forza enorme nell'economia globale. L'America è un'economia basata su idee e la nostra enfasi sullo sviluppo del capitale umano è qualcosa che all'Africa interessa molto e che noi siamo bravi a fare. Infine, ciò che è affascinante nello sviluppo africano sono le opportunità che hanno di fare alcuni balzi tecnologici saltando a pié pari alcune fasi dello sviluppo, e noi siamo molto bravi nelle tecnologie che consentono ai paesi un potenziale salto nello sviluppo. Un esempio classico è nel settore delle telecomunicazioni. Abbiamo inventato gli smartphone e ci sono smartphone ovunque in Africa. L'ultima volta che sono stato in Senegal ho parlato con i piccoli agricoltori di come ora ricevano le previsioni del tempo, le notizie sui mercati, le informazioni sulle ultime tecnologie relative ai semi, tutto attraverso il loro smartphone: questo è il tipo di cose in cui sappiamo eccellere".

Uno dei grandi fattori nelle emergere dell'economia africana sono stati gli investimenti cinesi. Questi si fondano su un modello diverso, dove non c'è governance -  trasparenza, responsabilità, normative certe. È un problema per lei? O, in questa fase, ciò che conta sono solo il capitale e gli investimenti esteri diretti?
"Ogni paese che è disposto a collaborare con i paesi africani è il benvenuto. Bisogna però assicurarsi che i governi africani negozino un buon affare con chiunque, che siano gli Stati Uniti o la Cina. La Cina ha una certa capacità, per esempio, nella costruzione di infrastrutture in Africa che sono fondamentali. Possono essere meno vincolati fiscalmente rispetto agli Stati Uniti nel contribuire a costruire strade, ponti e porti. D'altra parte, la Cina ha bisogno di risorse naturali e questo caratterizza i loro investimenti, mentre è meno vero per gli Stati Uniti. Quindi il mio consiglio ai leader africani è quello di assicurarsi che ci sia la possibilità per i governi di stabilire come questa infrastruttura andrà a loro beneficio nel lungo termine".

L'America potrebbe anche avere una parte fondamentale nella sicurezza. Due leader europei hanno recentemente affermato che lei vede la sicurezza africana come una loro area, e spetta a loro occuparsene. È così?
"È interessante. La presenza degli Stati Uniti nell'ambito della sicurezza è sempre una fonte di ambivalenza. Se non siamo lì, la gente pensa che li stiamo trascurando. Se siamo lì, pensano che stiamo militarizzando una regione. La nostra teoria è che abbiamo molto bisogno di collaborare con i paesi africani, in primo luogo, e con le organizzazioni regionali africane. Uno dei principali argomenti del vertice è quello di rafforzare il mantenimento della pace e l'impegno degli africani per la risoluzione dei conflitti; quanto a noi, l'impegno nell'Unione africana e nell'Ecowas per migliorare le loro capacità nel controllo del proprio territorio può fare una grande differenza. Abbiamo anche bisogno di avere un piano molto più esplicito di impegno della Nato con i paesi africani e le organizzazioni regionali, non perché gli Stati Uniti non siano pronti a investire in sforzi per la sicurezza in Africa, ma piuttosto per essere certi di non essere percepiti come se cercassimo di dominare il continente. E ci sono dei vantaggi per alcuni paesi europei che hanno legami storici nell'impegnarsi approfittando dei loro rapporti. La Francia  -  nei paesi francofoni  -  può fare certe cose meglio di noi".

Lei si è molto impegnato per ottenere la collaborazione fra poteri responsabili. I due problemi che ha avuto sembra siano stati, in primo luogo, trattare con persone estremamente difficili  -  come Putin  -  e, in secondo luogo, con gli alleati. Tra i nuovi poteri emergenti il Sudafrica, l'Indonesia, e l'India spesso non l'hanno sostenuta. Che cosa sta cambiando?
"Vede, non c'è dubbio che una forte politica estera interventista in nome di certi principi, ideali o norme internazionali è una tradizione che la maggior parte dei paesi non condivide. Nel XX secolo e nelle prime fasi del XXI secolo, gli Stati Uniti continuano a essere una potenza indispensabile disposta a spendere su questo il suo sangue e le sue forze. Ma non possiamo farlo da soli data la complessità e l'interdipendenza del mondo odierno. Per quanto riguarda il Sudafrica, comprendiamo il sospetto che possono avere nell'intromettersi troppo negli affari dello Zimbabwe, per esempio. Ma alla fine, come potenza regionale fondamentale, se non riusciranno a investire in un ordine internazionale o in un ordine regionale che consenta la prosperità dei cittadini dello Zimbabwe, si troveranno ad avere un problema di immigrazione  -  che del resto già hanno. C'è anche un po' di cultura non allineata, nord-sud, che risale a 20, 30 anni fa che forse una nuova generazione di leadership dovrebbe abbandonare. Paradossalmente, oggi, se l'India, il Brasile, l'Indonesia vogliono affermarsi e assorbire delle popolazioni giovanissime che vedono nuove possibilità attraverso Internet, l'unico modo per soddisfare quelle aspettative è immergersi in un sistema globale organizzato, giusto, e trasparente. Questo significa che quei poteri emergenti devono collaborare e sottoscrivere quell'ordine. L'ordine del dopoguerra fu necessariamente una creazione degli Stati Uniti. Ci sono stati dei momenti in cui gli Stati Uniti ne hanno approfittato per estendere la portata delle proprie aziende e dei propri prodotti, ma oggi quell'ordine appartiene davvero a tutti. È un ecosistema che è stato costruito per tutti".

Una questione chiave è se la Cina finirà per entrare in quel sistema o se lo sfiderà.

"È vero. È importante per gli Stati Uniti e per l'Europa continuare ad accogliere la Cina come un partner a pieno titolo in queste norme internazionali, e riconoscere che potranno esserci dei momenti di tensione e di conflitto. Ma io penso che si potranno gestire. Credo che se la Cina non si accontenta di essere semplicemente il maggior produttore low-cost del mondo e sceglie di proiettarsi nella catena di valore, le questioni come la protezione della proprietà intellettuale diventeranno di colpo più importanti per le loro aziende, non solo per le aziende statunitensi. Tuttavia, bisogna essere piuttosto fermi con la Cina, perché spingeranno a più non posso finché non troveranno una resistenza. Non sono dei sentimentali, e a loro non interessano le astrazioni. I semplici appelli alle norme internazionali sono insufficienti. Devono esserci dei meccanismi che ci mettano in grado di essere duri con loro quando pensiamo che stanno violando delle norme internazionali, ma anche di mostrare loro i potenziali benefici nel lungo termine. E quel che è vero per la Cina lo è anche per molti degli altri mercati emergenti".

Che dire della Russia? Lei dall'inizio aveva tentato di instaurare un nuovo rapporto con Mosca. Durante l'attuale crisi in Ucraina, Angela Merkel è stata al telefono di continuo con Putin. Lei si sente deluso, quasi personalmente?
"Non mi sento deluso. Abbiamo avuto un rapporto molto produttivo con il presidente Medvedev. Penso che la Russia ha sempre avuto un po' un volto di Giano, che guarda ad est e ad ovest, e credo che il presidente Putin rappresenti una tendenza profonda in Russia, che è probabilmente dannosa per la Russia nel lungo termine, ma che nel breve termine può essere politicamente popolare a livello nazionale e molto fastidiosa all'estero. È importante mantenere la prospettiva. La Russia non produce nulla. Gli immigrati non corrono a Mosca in cerca di opportunità. L'aspettativa di vita dell'uomo russo è di circa 60 anni. La popolazione sta diminuendo. E così dobbiamo rispondere con determinazione alle sfide regionali che di fatto la Russia presenta. Dobbiamo essere sicuri laddove improvvisamente sono tornate nelle discussioni di politica estera le armi nucleari. Finché lo faremo, penso che la storia sarà dalla nostra parte".

Per quanto riguarda l'economia degli Stati Uniti, molti uomini d'affari si lamentano per le troppe normative.

"Si lamentano sempre per le normative. Ma guardiamo i fatti. Da quando io sono in carica, non c'è quasi nessun parametro economico per cui si possa dire che l'economia americana non sia migliorata e che non siano migliorati i profitti delle aziende. Infatti, la nostra politica ha prodotto un record nel mercato azionario, un record nei profitti aziendali, 52 mesi consecutivi di crescita dei posti di lavoro, 10 milioni di nuovi posti di lavoro, un taglio di oltre la metà del deficit, un boom nel settore energetico, una grande espansione nel settore dell'energia pulita, una riduzione dell'inquinamento superiore a quella degli europei o di qualsiasi altro paese, un mercato immobiliare che è risalito, e un tasso di disoccupazione attualmente inferiore a quello che era nel periodo pre-Lehman. Ci saranno sempre delle aree in cui le imprese non vogliono essere regolate perché le normative sono scomode".

Qual è la sua più grande sfida?
"L'area in cui abbiamo fatto meno progressi di quanto avrei voluto, ed è la mia ossessione da quando sono stato nominato e continuerà ad esserlo, è nella tendenza verso un'economia sempre più biforcata: chi è in alto riceve una quota sempre più grande del prodotto interno lordo, un aumento della produttività, profitti aziendali, mentre le famiglie della classe media e della classe operaia sono bloccate. I loro salari e i loro redditi sono stagnanti da quasi vent'anni. Questo non è un fenomeno che riguarda solo gli Stati Uniti, ma è globale".

Questa è la grande sfida: come possiamo preservare l'incredibile dinamismo del sistema capitalistico, garantendo al tempo stesso che la distribuzione della ricchezza, dei redditi, dei beni e dei servizi in questo sistema abbia una basa ampia, sia ampiamente diffusa?
Spesso, sentiamo dire a un gestore di fondi di investimento speculativi: "Oh, sta solo cercando di suscitare un risentimento di classe". No. Io ribatto a loro: siete liberi di mantenere la casa negli Hamptons e il vostro jet aziendale, ecc. A me non interessa il modo in cui vivete. Mi preoccupo invece di garantire che nel nostro sistema una persona comune che lavora duro e in modo responsabile possa andare avanti e vedere dei piccoli miglioramenti nelle sue prospettive di vita, se non per sé certamente per la prossima generazione. Penso che questa sia la grande sfida, non solo per gli Stati Uniti, ma per tutti".
(©The Economist La Repubblica traduzione Luis E. Moriones)