Intervista a Serena Bertogliatti, scrittrice di fantasy futuribile
D- Serena "La Scala Santa", il tuo racconto vincitore in "Verso un nuovo mondo" a cura dell'Associazione Hyperion, un approfondimento?
"La Scala Santa" era stato in realtà scritto anni fa per un altro concorso a tema distopico che è poi "fallito" (nel senso che la maggior parte dei racconti pervenuti è stata considerata tematicamente inadatta – non so a tutt'oggi se il mio rientrasse tra questi). Quando ho saputo del bando di Verso un nuovo mondo mi è subito venuto in mente: un "nuovo mondo" che, prima di essere materiale (o futuro), sia un'idea, un obiettivo, una visione. Sia essa positiva o negativa. Sempre che esista, passato un certo limite (o prima del bene e del male), una differenza tra le due cose.
D – Serena, Colpiscono alcuni, criticamente parlando, punti del racconto: science fiction postcyberpunk indubbiamente, ma un linguaggio essenzialmente alto e letterario e anche cinematografico; inoltre una "coreografia" insolita in certo senso: un mondo postumano con le AI future in primo piano eppure in scenari sociali almeno paraislamici.
S – Trovo interessante che tu abbia visto nell'ambientazione de "La Scala Santa" in primis uno scenario sociale "paraislamico". Ho dovuto rileggermi il racconto prima di rispondere alla tua domanda, perché non ricordavo sinceramente quali tra i tanti elementi da me usati (e abusati, diciamolo) venisse dal calderone "paraislamico".
A riguardo ho trovato due parole: "qasba" e "muezzin". Poi ci sono quelle che vengono dall'immaginario greco classico ("Promteus", "Efestia"), che non si limitano a essere parole, elementi adottati per dare un gusto sincretico all'ambientazione: Promteus proviene da Prometeo, nella missione che vuole compiere (per quanto distorta, come tutto lo è in questo futuro). I gong sono pseudo-orientaleggianti, e nipponica è la dedizione tanto immanente e trascendente al contempo da risultare cieca con cui i due fratelli si danno all'impresa. Il Superuomo, come concetto, è tutto nietzschiano. E tutto cattolico il pensiero per cui tramite la sofferenza si giunga alla trascendenza – e perciò il titolo, "La Scala Santa", che ammicca senza pudore alla mitologia cristiana. Poi c'è un po' di mercantilismo settecentesco europeo, una società strutturata a gilde di ispirazione medievale europea, etc...
È interessante che in questa bolgia di elementi più o meno espliciti a prevalere nella percezione del racconto siano stati quelli paraislamici. Interessante ma non sorprendente, non trovi?
Trovo che la fantascienza, volente o nolente, parli dell'oggi, e in un doppio senso. Io mi sono fatta ispirare da un cosmopolitismo dal sapore "medievale" che credo di vedere in alcune realtà odierne; chi legge inquadra e interpreta avendo a disposizione le proprie visioni, figlie della stessa realtà – così tanto variegata da permettere conclusioni tanto differenti – da cui io attingo.
La mescolanza di un'estetica e di temi cyberpunk con un linguaggio che definisci alto e letterario (non so come lo avrei definito io, ma capisco quel che intendi) è a sua volta figlia della mia visione del presente: sono per il sincretismo, tanto dei contenuti quanto della forma.
C'è un'epica greca, una nietzschiana, una nipponica, una islamica (e con queste due sto generalizzando più del dovuto, soprattutto considerando quanto io poco le conosca); un degrado cattolico, uno coloniale, uno borghese. Il fascino della realtà – qualsiasi cosa sia – storicamente situata è che è capace di far accoppiare queste cose, farne sintesi, dando vita a solennità ancor più vibranti, ad atrocità ancor più rivelanti. O così la vedo io – e con ciò gioco scrivendo fantascienza.
D - Serena, utopia o distopia, come rapidamente vedi il futuro della specie umana?
S – Più o meno come ho cercato di spiegarlo ne "La Scala Santa": tutto dipende dai criteri da cui si parte, dagli ideali che si hanno (e quindi dai criteri che li strutturano), dalla percezione di sé e del mondo.
Dal punto di vista interno al racconto, "La Scala Santa" ha un happy ending. Ho anche abusato della retorica e delle trite e ritrite tecniche usate per arrivare al climax di una storia a lieto fine: le difficoltà iniziali, la speranza che cresce, l'arrivo improvviso di un elemento che fa pensare che tutto stia per fallire, la ricompensa finale.
Dal punto di vista della nostra società, però, sono le premesse stesse del racconto a essere aberranti, e a renderlo quindi distopico.
È la domanda soggiacente alla tua a essere di difficile, se non impossibile, risposta. Senza spostarci nel futuro, e rimanendo nel presente, immagina di vivere la vita di una bambina che partecipa a concorsi di bellezza negli Stati Uniti vincendoli tutti a colpi di spray abbronzante e pose perfette; poi a quella di un mormone felicemente sposato e rispettato dalla minuscola comunità in cui vive, capace di resistere a tutte le tentazioni che – inesauribili – ogni tanto tornano a fargli visita; poi a quella di un uomo che, dopo dieci anni di voluta convivenza con i lupi, è stato finalmente accettato dal branco, anche grazie al pungente odore personale che lo rende intollerabile a pressoché qualsiasi compagnia umana. Fai diventare le premesse di queste storie individuali (tutte ispirate da storie vere) intere società e chiediti: sono utopie o distopie?
Per come la vedo io, sono utopie per se stesse (sono tutte storie di successi) e probabilmente distopie quando si chiede loro di giudicarsi a vicenda.
D – Serena, progetti futuri?
S – Anche il mio scrivere procede a (micro) corsi e ricorsi storici. Intervallo fasi di scrittura matta e disperatissima a fasi di prolungato silenzio stampa. Sono i capricci che posso permettermi in quanto scrivo per passione. A ciò aggiungi che, se auto-pubblichi, devi dedicarti a una lunga e impegnativa lista di mansioni – un secondo e ulteriore lavoro. L'alternativa è quella vecchia: cercare una casa editrice o equipollenti. Ma anche questa opzione richiede un dispendio di energie non inferiore, seppur dedicate a tutt'altro tipo di attività: re-immergerti ogni volta nel variegato mondo dell'editoria, con le sue regole ed etichette che nulla hanno da invidiare a quelle di un gentlemen's club. Proprio per ciò dedicarvisi può essere incredibilmente divertente – a meno che non si sia pigre, come spesso sono.
Grazie al concorso Verso un nuovo mondo ho la possibilità di proporre all'Associazione Hyperion una mia opera da pubblicare, cosa che farò (appena la mia vita mi concederà di nuovo tempo per tali attività). Come associazione letteraria è un caso più unico che raro: non solo non chiede contributi alle/gli autrici/tori in nessuna forma (moda che ha spopolato sfiorando il tragicomico), ma devolve la propria fetta di proventi in beneficenza. Ed è un trampolino di lancio per chi sta coltivando l'idea di entrare nel mercato dell'editoria.
Se sembra che io stia facendo pubblicità, beh, è proprio questo il caso: vorrei che il mondo degli emergenti prendesse spunto da iniziative simili per calibrare i propri standard e le proprie aspettative (si parlava di utopia e distopia, no?).
Foto: https://spspfiction.files.wordpress.com/2014/09/berto
Biografia essenziale letteraria:
Serena Bertogliatti ha pubblicato racconti con Mondadori, Edizioni Scudo, Curcio, BraviAutori, La Tela Nera e Origami.
Finalista del concorso letterario Racconti Chrysalide (Mondadori) e del premio letterario Francis Marion Crawford, ha ricevuto una segnalazione di merito di un'iniziativa editoriale organizzata da Il Paese che non c'è e ha vinto l'ottava edizione del concorso letterario 666 passi nel delirio e il concorso Verso un nuovo mondo, indetto dall'Associazione Hyperion.
Ha organizzato e curato una selezione letteraria di racconti scritti in Seconda Persona Singolare, culminata nell'antologia 15 racconti che danno del tu, gratuitamente scaricabile: https://spspfiction.wordpress.com/antologia-seconda-15-racconti-che-danno-del-tu/
Scrive recensioni letterarie per Oubliette Magazine, Liberi di scrivere e Border Fiction. Una lista completa dei suoi racconti e delle recensioni si trova sul suo blog e sito: diosbios.wordpress.com