Intervista a Michele Nigro, poeta e critico contemporaneo
Michele Nigro, da ormai molti anni, presenza costante d'avanguardia virtuosa in Italia, un background tra critico blogger e produzioni poetiche e letterarie, attento al futuro, uno zoom... biografico e d'autore?
Da molti anni è vero; ma non so quanto, in tutto questo tempo, abbia con le mie cose fatto avanguardia, onestamente credo pochissimo, anzi per niente. E poi nutro alcuni dubbi sulla funzione, in questi tempi, di un'eventuale avanguardia in generale: propendo più per il "rispolverare e ibridare". Ma sarà il confronto futuro, eseguito da altri, tra me e i miei coevi, a stabilire se c'è stato da parte mia uno scatto in avanti (o indietro) verso una direzione interessante e differente (stavo per scrivere, indegnamente, "direzione ostinata e contraria", De André docet!).
Sto cercando di portare avanti sul mio blog "Pomeriggi perduti" (che prende il nome dal titolo della mia ultima raccolta di poesie, Ed. Kolibris) un lavoro critico ̶ tramite note e recensioni a mia firma ̶ nei confronti di opere edite di altri Autori (soprattutto poesia) approdati sulla "rubrica" intitolata "Recensisco".
Per lo "zoom biografico e d'autore", per non annoiare i tuoi Lettori li rimanderei a un apposito link al mio blog; posso solo dire che parallelamente all'attività recensoria a cui accennavo (e alla promozione della raccolta "Pomeriggi perduti" uscita nel 2019), ho in preparazione da mesi un testo ibrido prosa-poesia derivante da un'opera di "diluizione" di scritti diaristici rispolverati e necessariamente rimaneggiati per renderli fruibili a un potenziale lettore che non sia io: si tratta di un progetto lento, come amo definirlo, che sta richiedendo un lavorio spalmato nel tempo e approcci pazienti e minuziosi, rigo dopo rigo, taccuino dopo taccuino. Il diarismo ha un suo fascino, ma quando devi proporlo all'esterno, può trasformarsi in un'arma a doppio taglio.
È una (ri)scrittura, a volte lacerante perché scava nel passato e in emozioni incrostate, che mi costringe a restare concentrato sull'obiettivo nonostante le numerose interruzioni insite a un progetto lento: il segreto sta nel comprendere la giusta chiave di lettura per effettuare la diluizione rispettando i "parametri di trasformazione" del testo scelti fin dall'inizio. È un lavoro in fieri molto avvincente, caratterizzato da varie fasi progettuali, e che non so dove mi porterà perché, temo, di difficile collocazione editoriale: una difficoltà che si avverte soprattutto quando sei un signor nessuno come nel mio caso. Però credo nel progetto e si vedrà…
Nello specifico, tempo fa hai rinnovato il sito blog e le tue ultime produzioni?
Sì, nel 2019, dopo anni di "onorata attività" ho mandato in pensione il blog "Nigricante" ̶ che è ovviamente ancora online ̶ per lanciare "Pomeriggi perduti" (sottotitolo: "quasi un litblog di Michele Nigro"): avevo bisogno di un "luogo" nuovo, di una grafica diversa, di una linea sobria e "professionale", ma soprattutto di un'impostazione contenutistica che marcasse la differenza con il blogging passato. L'occasione mi è stata fornita dalla pubblicazione dell'omonima raccolta "Pomeriggi perduti".
Lì sopra non parlo solo dei libri degli altri o di argomenti culturali di interesse generale (sarò sincero, non amo particolarmente i book blogs: non tutti, ma la maggior parte di essi sono delle asettiche "fabbriche di segnalazioni di libri" senza critica e profondità, create solo per veicolare pubblicità e fare book marketing a libri di dubbia qualità ̶ che al confronto quelli di Harmony sono "opere classiche" ̶ appartenenti a infimi sottogeneri letterari), ma anche delle mie attività scritturali e dei miei piccoli traguardi. Da qui l'essere quasi un litblog, al confine con il blogging personale.
Michele Nigro, sempre orientato, senza alcuna tecnofilia, verso l'avvenire, ma nell'attuale epoca "devastata" dal triste virus, il senso del futuro è perlomeno in crisi, soprattutto per le nuove generazioni, concordi oppure?
Non che prima della pandemia il futuro fosse roseo: era già sul grigiastro andante… Non userò quella parola odiosa e inflazionata dalla politica che inizia con "re…" e termina con "… ilienza", ma credo che da questa brutta esperienza si possa e si debba ricavare una nuova spinta per migliorarsi e ritornare a vivere più di prima, anche se alcune abitudini sarebbero da modificare irreversibilmente senza per questo blaterare di illiberalità o di dittatura sanitaria (riscoprire un certo localismo in ambito turistico, rivedere alcune scelte esistenzial-commerciali, non è sinonimo di mancanza di libertà ma è sintomo di una riscoperta intelligenza in vista di una gestione più consapevole della propria vita). Sto cercando ultimamente di evitare con tutte le mie forze il dibattito inconcludente e violento, sia nella vita reale che sui social, tra favorevoli e contrari al vaccino e al conseguente green pass: penso che tutto debba essere vissuto come una fase di passaggio e non perdere di vista i propri obiettivi che bypassano qualsiasi pandemia o stasi socio-economica.
Bisogna credere e vedere oltre, non per eccesso di ottimismo o per ingenuità. Quindi non credo in una crisi del senso del futuro, nonostante le evidenti difficoltà sociali ed economiche della società in cui viviamo, perché siamo noi stessi a dover fornire un senso al nostro vissuto e non l'indice di trasmissibilità di un virus comunicato quotidianamente dal MinSanPop.
Credo nelle occasioni, anche quelle "scomode" fornite da questo periodo, e in ciò che con queste sappiamo costruire. Penso che un minimo di tecnofilia sia indispensabile perché sul buon uso di un certo progresso tecnologico e scientifico saranno basati i vincenti passi successivi dell'evoluzione del genere umano. Però mi chiedo anche ̶ senza il timore di essere tacciato di luddismo ̶ quanto scienza e tecnica abbiano influito ̶ con il progresso che ne è conseguito ̶ sul predisporre il pianeta alla pandemia e soprattutto nel non prevenirla, omettendo di suggerire (per assecondare il dio denaro) tempestive modifiche degli stili di vita e di produzione. È chiaro che la tecnofilia ̶ soprattutto quella che favorisce pochi gruppi economico-finanziari ̶ non basta: occorre riscoprire una dimensione umana, a tratti coraggiosamente 'atecnologica' e anticonsumistica, più naturale, "rimpicciolita" e connessa al contempo, oserei dire glocal.
Più in generale, come vedi oggi la poetica/cultura contemporanea?
È meno audace, più uniformata a standard che, forse per ragioni generazionali, non comprendo e con cui non sono assolutamente in sintonia: dalla musica all'editoria, tranne rari casi, vige la regola per cui se esci da una scuola omologante o sei un autore affermato che ha già portato introiti, anche se in seguito scrivi boiate continui a usufruire di un certo "pompaggio" del marketing. In sintesi, viene portato avanti il personaggio che vende e non l'opera o, appunto, la poetica di un autore. Quindi, anche se lo scenario non è del tutto disastrato e irrecuperabile come potrebbe sembrare da questa mia risposta, in un sistema del genere di quale poetica si può mai parlare?
La cultura è una "cultura di piazzamento" e bisognerebbe parlare di "ranking poetico". La colpa non è solo delle case editrici o ̶ per dirla alla Battiato ̶ degli "addetti alla cultura", ma soprattutto di un abbattimento della qualità della domanda da parte di un pubblico impreparato e che ama volare in superficie, a pelo d'acqua, per mancanza di tempo e di un autentico interesse: a una poetica di ricerca, non subitanea e quindi poco accattivante, si preferisce il guitto che fa cantare il suo pubblico durante i reading, che va in tv tre volte a settimana, che riempie le sale credendo così di diffondere la poesia, che litiga sui social, che innesca polemiche politiche e alza polveroni mediatici per vendere meglio e di più… Parlerei di una "poetica mediatica" che è l'unica, oggi, a contare.
La cultura è la risposta che la parte pensante di una società dà ai problemi del tempo attraverso le sue opere: se la risposta è quella attualmente in circolazione nel mainstream, è evidente che sono mutate le esigenze culturali e, arrivo a dire, spirituali del pubblico che alla fine acquista una tipologia di prodotti. Non c'è soluzione, deve andare così. È la caratteristica dell'epoca. L'importante è essere coerenti con sé stessi e con la propria poetica.
Domanda libera...
Rispondendo a questo invito marzulliano in stile "si faccia una domanda e si dia una risposta", e ricollegandomi alla precedente risposta, chiederei a me stesso: "riuscirai a non svenderti in futuro?".
Oggi rispondo che c'è molta più dignità nel tenere chiuso nel cassetto un manoscritto non appetibile dal punto di vista editoriale che piegarsi a un editing edulcorante o sfornare opere "piacionesche" per non darla vinta alla critica di invenduti "poeti complicati".
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