Quando i luoghi diventano poesia: Barbara Cannetti su Tonino Guerra


  1. Quando i luoghi diventano poesia

"Finiva che abitavo sempre al mio paese sull'Appennino che avevo lasciato da vent'anni" (Tonino Guerra, I cento uccelli, Maggioli editore, Rimini, 1997)

Ci sono persone che, una volta divenute celebri, si dimenticano quasi completamente del territorio che ha dato loro i natali. O che, in nome della privacy, decidono di vivere in modo distaccato da tutto ciò che li circonda.

Tonino) Guerra invece ha fatto della Valmarecchia e in particolare di Pennabilli, il suo paese d'adozione, un vero e proprio palcoscenico dal quale continuare a sceneggiare la vita.

Lo ha fatto lasciando nelle vie e nei luoghi circostanti molte tracce di sé e del suo pensiero. Vivendo in mezzo alla natura, e perdendosi nelle stanze della casa dei mandorli. Trasformando, nel tempo, quegli stessi luoghi in una sorta di giardino incantato, ricco di simbolismi e di richiami, di statue e di vecchie pietre.

Questo autore scomparso di recente, nacque a Santarcangelo di Romagna nel 1920 e iniziò a comporre versi in romagnolo durante la seconda guerra mondiale, nel campo di Troisdorf in cui fu prigioniero. Come lui stesso raccontò, fu Carlo Bo, nel 1946 a dargli visibilità scrivendo la prefazione a "I scarabòcc" (gli scarabocchi), il libretto di poesie in dialetto che aveva pubblicato a sue spese. Ma dalla sua vulcanica fantasia è poi uscito un po' di tutto: idee, ricordi, sceneggiature, opere d'arte, poesie, sguardi, lezioni di vita, mobilacci, barattoli pieni d'aria. Lavorò al fianco di importanti registi, vincendo parecchi premi. Era bravo, molto bravo. E aveva una fervida fantasia.

Girando per Pennabilli si possono ritrovare i luoghi del tempo e dell'anima, percorsi in cui la bellezza, quella naturale e quella pensata dall'uomo, quella presente e quella passata, fondendosi di continuo, scrivono e reinventano l'arte. Per costruire questi sentieri Guerra utilizzava qualsiasi tipo di materiale: vecchie sculture, statue dimenticate, Madonne abbandonate e alberi da frutto ormai scomparsi, pietre di chiese sconsacrate.

Così il territorio, radice del nostro passato e punto di partenza per ogni meditazione e riflessione, si trasforma in un'opera d'arte viva, da curare, raccogliere e recuperare. Perché, parafrasando lo stesso Guerra, la terra è il nostro petrolio e, forse, per rendersene conto basterebbe alzare gli occhi, attraversare l'Arco delle Favole e, per un attimo, ritrovarsi in un tempo migliore.