Stefano Vaj interview: Transumanesimo e Volontà di Futuro
D- Il transumanesimo: La nuova futurologia scientifica?
Una cosa che è stata un Leitmotif dei miei interventi sull’argomento negli ultimi anni è che il transumanesimo o transumanismo è (o dovrebbe essere) una futurologia della volontà, non una futurologia “meteorologica”.
Una cosa che è stata un Leitmotif dei miei interventi sull’argomento negli ultimi anni è che il transumanesimo o transumanismo è (o dovrebbe essere) una futurologia della volontà, non una futurologia “meteorologica”.
Qualcosa che non ci dice cosa sarà, anche se non si esime dal ridicolizzare gli scetticismi passati e presenti sulle potenzialità della tecnoscienza, ma cosa potrebbe essere se lo vorremo. L’idea che sviluppi mirabolanti siano destinati a prodursi “no matter what“,
come sembrano suggerire Kurzweil ed altri autori, non solo è
profondamente demobilizzatrice, riducendo il transumanismo organizzato
ad un gruppo di cheerleaders o ad un circolo del tè intento ad
applaudire progressi inevitabili ed automatici, ma è contraddetta da ciò
che molti considerano un significativo decremento se non del ritmo dei
progressi tecnoscientifici, quanto meno della loro accelerazione,
che l’era incandescente che va grosso modo dal 1870 al 1970, e di cui
siamo tuttora largamente debitori anche per gli sviluppi più recenti, ci
aveva abituato a dare per scontata.
Per cui, il transumanismo a mio avviso è, e deve essere, essenzialmente una futurologia che ci inviti ad un ritorno sul promontorio dei secoli, secondo la formula marinettiana.
Per cui, il transumanismo a mio avviso è, e deve essere, essenzialmente una futurologia che ci inviti ad un ritorno sul promontorio dei secoli, secondo la formula marinettiana.
D- Umanesimo, postumanesimo o addirittura un antiumanesimo?
La vera questione è il superamento dell’umanismo, cui è ad esempio dedicato un intero numero della rivista teorica dell’Associazione Italiana Transumanisti, Divenire. Rassegna di studi interdisciplinari sulla tecnica e il postumano, con contributi di Riccardo Campa, Luciano Pellicani, Roberto Marchesini, Aldo Schiavone, Mario Pireddu, Salvatore Rampone, Max More, Rémi Sussan, Roberto Guerra, Emmanuele Pilia, Ugo Spezza,
Francesco Boco e il sottoscritto. Perché naturalmente, come tra l’altro
discuto nell’intervista che mi è stata fatta da Adriano Scianca nel
volume Dove va la biopolitica? la cui traduzione in inglese è accessibile online qui, alla base di una trasformazione postumana non può che esserci una cultura postumanista.
E del resto i
legami intrinseci tra transumanismo, sovrumanismo (nel senso di
Nietzsche, Heidegger e Marinetti) e postumanismo, sono perfettamente
chiari agli avversari “umanisti” di tutte queste cose, da Kass a
Fukuyama, da D’Agostino a Habermas a McKibben, più di quanto non lo
siano a molti transumanisti.
Vero è che a un
po’ di confusione sull’argomento contribuisce l’atteggiamento di
sufficienza o diffidenza che una certa parte della cultura postumanista
(vedi ad esempio Viroid Life: Perspectives on Nietzsche and the Transhuman Condition di Keith Ansell-Pearson o The Paradox of the Posthuman: Science Fiction/Techno-Horror Films and Visual Media di
Julie Clarke) ha nei confronti del “transumanismo organizzato” a causa
esattamente dei residui escatologici, manichei, specisti, universalisti,
in una parola “umanisti”, che è legittimo riscontrare in talune sue
componenti, ma che è certo abusivo generalizzare, come io stesso e tutti
gli altri neofuturisti italiani siamo qui a testimoniare.
Un’altra complicazione è il fatto che in inglese esiste un’unica parola, humanism, che fa originariamente riferimento all’Umanesimo dell’Italia del XIV e XV secolo, da Pico della Mirandola a Giordano Bruno, in cui sarebbe davvero difficile non riscontrare il germe stesso della riscoperta “pagana” dell’etica della conoscenza e del superamento di sé da cui prende le mosse il transumanismo stesso, e per estensione all’opposizione contemporanea al fondamentalismo monoteista; ma al tempo stesso appunto all’umanismo, cioè a quella negazione (squisitamente antitransumanista) di tutto ciò cui si oppongono Marchesini, Faye, Sloterdijk, Christen, More, etc., sull’onda dellaLettera sull’umanismo di Heidegger e dell’idea prettamente nietzchana che “l’uomo è qualcosa che deve essere superato”.
In questo senso, una vecchia versione della Dichiarazione Transumanista conteneva un ambiguo riferimento allo humanism (per altro rimosso nell’ultima revisione della medesima); ma anche qui all’improbabile interpretazione del transumanismo come un “umanismo” si contrapponeva l’idea che la frase relativa significasse semplicemente che “tutto quello che di buono poteva esserci nell’umanesimo è oggi ricompreso nel transumanesimo”. Tesi avvalorata dal fatto che il responsabile della relativa inclusione, cioè Davide Pearce, è certamente “anti-umanista” se non altro nel senso di un radicale antispecismo.
Personalmente, pur considerandomi anch’io antispecista, non condivido molto le posizioni “animaliste” di Pearce, che per me sono solo una forma di “umani(tar)ismo allargato”; ma non c’è dubbio che io e Pearce siamo entrambi ugualmente lontani dall’idea che tutti e solo gli appartenenti al genere umano avrebbero qualcosa che li renderebbero incommensurabilmente e definitivamente diversi dal resto del mondo naturale ed artificiale in cui siamo immersi, magari ad “immagine e somiglianza” di qualche ente trascendente anche se non hanno oltrepassato lo stadio di embrione o sono nati anencefali.
Sulla decostruzione dell’Umanità come avatar secolarizzato della Cristianità ho del resto già avuto occasione occasione di scrivere nel saggio Intelligenze artificiose.
Un’altra complicazione è il fatto che in inglese esiste un’unica parola, humanism, che fa originariamente riferimento all’Umanesimo dell’Italia del XIV e XV secolo, da Pico della Mirandola a Giordano Bruno, in cui sarebbe davvero difficile non riscontrare il germe stesso della riscoperta “pagana” dell’etica della conoscenza e del superamento di sé da cui prende le mosse il transumanismo stesso, e per estensione all’opposizione contemporanea al fondamentalismo monoteista; ma al tempo stesso appunto all’umanismo, cioè a quella negazione (squisitamente antitransumanista) di tutto ciò cui si oppongono Marchesini, Faye, Sloterdijk, Christen, More, etc., sull’onda dellaLettera sull’umanismo di Heidegger e dell’idea prettamente nietzchana che “l’uomo è qualcosa che deve essere superato”.
In questo senso, una vecchia versione della Dichiarazione Transumanista conteneva un ambiguo riferimento allo humanism (per altro rimosso nell’ultima revisione della medesima); ma anche qui all’improbabile interpretazione del transumanismo come un “umanismo” si contrapponeva l’idea che la frase relativa significasse semplicemente che “tutto quello che di buono poteva esserci nell’umanesimo è oggi ricompreso nel transumanesimo”. Tesi avvalorata dal fatto che il responsabile della relativa inclusione, cioè Davide Pearce, è certamente “anti-umanista” se non altro nel senso di un radicale antispecismo.
Personalmente, pur considerandomi anch’io antispecista, non condivido molto le posizioni “animaliste” di Pearce, che per me sono solo una forma di “umani(tar)ismo allargato”; ma non c’è dubbio che io e Pearce siamo entrambi ugualmente lontani dall’idea che tutti e solo gli appartenenti al genere umano avrebbero qualcosa che li renderebbero incommensurabilmente e definitivamente diversi dal resto del mondo naturale ed artificiale in cui siamo immersi, magari ad “immagine e somiglianza” di qualche ente trascendente anche se non hanno oltrepassato lo stadio di embrione o sono nati anencefali.
Sulla decostruzione dell’Umanità come avatar secolarizzato della Cristianità ho del resto già avuto occasione occasione di scrivere nel saggio Intelligenze artificiose.
D- E l’anima, un residuo dell’evoluzione?
L’anima, di una persona come di un popolo, non è altro nella mia prospettiva che “ciò che siamo”, che ciò che siamo chiamati a diventare. Cioè, ciò che ci rende differenti, e che la tecnoscienza ci consente potenzialmente oggi, come discuto in Biopolitica. Il nuovo paradigma,
di sublimare ed autodeterminare in una misura inedita rispetto alle
generazioni che ci hanno preceduto, attraverso un salto quantico che
trova come precedenti unicamente la rivoluzione neolitica se non
l’ominazione stessa.
Non c’è dubbio
d’altronde che l’anima è un costrutto culturale ed evolutivo. Non è
un’essenza che esista originariamente in qualche iperuranio o mondo
noumenico prima e al di là della percezione in divenire che altri ne
possano avere. Come lo “spirito” e la “psiche” rimandano
etimologicamente al “soffio”, al respiro, che consentono di distinguere
un corpo vivente da un cadavere, così l’”anima” è ciò che rende
“animato” il corpo stesso, o i suoi avatar, o quanto meno la sua traccia
storica, non il pallido fantasma che nella metafisica monoteista
sopravviverebbe contraddittoriamente alla morte dell’entità coinvoltà.
Per cui, il transumanismo fa propria una visione “evolutiva” della concezione indoeuropea dell’immortalità dell’anima come immortalità *storica*, attraverso l’ampliamento biologico e non della nostra persistenza nel mondo, non come immortalità ultraterrena.
Per cui, il transumanismo fa propria una visione “evolutiva” della concezione indoeuropea dell’immortalità dell’anima come immortalità *storica*, attraverso l’ampliamento biologico e non della nostra persistenza nel mondo, non come immortalità ultraterrena.
D- Arte transumanista anche?
La saldatura tra
sovrumanismo come superamento mentale del retaggio umanista e la
tecnoscienza come possibilità di un suo superamento pratico avviene non a
caso con il futurismo, che come ben illlustra Divenire III sta
direttamente o indirettamente alla base dell’intero transumanismo, e
che nasce non come un movimento di ingegneri, scienziati e filosofi
(anche se come dimostra Riccardo Campa in Trattato di filosofia futurista è facile ricostruirne anche scolasticamente la Weltanschauung), ma di poeti ed artisti.
Ma se il transumanismo nella tradizione di Mafarka il futurista o dell’Order of Cosmic Engineers potrebbe essere considerato come “arte applicata a se stessi e all’universo”, nel senso più quotidiano del termine esiste un vivace fermento di artisti, correnti e critici espressamente ispirati a tematiche transumaniste. Al riguardo vedasi quella che è una vera e propria icona vivente della sua componente americana come Natasha Vita-More, chairman diHumanity Plus; ma anche espressioni italiane come Roby Guerra, il mio attuale intervistatore, o Giancarla Parisi, alias Carla Rhapsody, il cui recente vernissage a Milano è stato intitolato “Transhuman Woman”. Per non contare gli artisti neofuturisti, come Graziano Cecchini, che io considero automaticamente transumanisti nell’ideologia se non nell’onomastica.
Ma se il transumanismo nella tradizione di Mafarka il futurista o dell’Order of Cosmic Engineers potrebbe essere considerato come “arte applicata a se stessi e all’universo”, nel senso più quotidiano del termine esiste un vivace fermento di artisti, correnti e critici espressamente ispirati a tematiche transumaniste. Al riguardo vedasi quella che è una vera e propria icona vivente della sua componente americana come Natasha Vita-More, chairman diHumanity Plus; ma anche espressioni italiane come Roby Guerra, il mio attuale intervistatore, o Giancarla Parisi, alias Carla Rhapsody, il cui recente vernissage a Milano è stato intitolato “Transhuman Woman”. Per non contare gli artisti neofuturisti, come Graziano Cecchini, che io considero automaticamente transumanisti nell’ideologia se non nell’onomastica.
D- Transumanesimo e politica?
La “politica politicante” italiana oggi è
semplicemente il teatrino del potere coloniale e mondialista che
governa attualmente le nostre terre, le cui chiassose bagarre malamente
nascondono una comune adesione a valori passatisti, universalisti,
umanisti, che tradiscono un anelito ad una “fine della storia“, secondo l’espressione di Fukuyama, che sancisca il definitivo avvento di un Brave New World huxleyano
e globalizzato in cui tutto è sacrificato alla stabilità, alla
stagnazione ed alla maledizione biblica contro ogni tentazione
faustiana, secondo il modello profeticamente schizzato da Guillaume Faye
sin dai primi anni ottanta in ll sistema per uccidere i popoli.
Eppure, una cosa che transumanisti e neoLudditi o antitransumanisti radicali (“laici” o religiosi che siano) hanno in comune, è l’identificazione della scelta tra un possibile futuro postumano o il suo rifiuto come la questione politica fondamentale della nostra epoca, rispetto a cui le crociate su temi come il sistema elettorale o il colore con cui verniciare i tombini appalesano tutta la propria inessenzialità.
Eppure, una cosa che transumanisti e neoLudditi o antitransumanisti radicali (“laici” o religiosi che siano) hanno in comune, è l’identificazione della scelta tra un possibile futuro postumano o il suo rifiuto come la questione politica fondamentale della nostra epoca, rispetto a cui le crociate su temi come il sistema elettorale o il colore con cui verniciare i tombini appalesano tutta la propria inessenzialità.
In questo, i cattolici, oggi sparsi su (e infiltrati in) tutto l’arco “politico” italiano, ma nondimeno uniti sull’essenziale,
penso possano essere un modello interessante anche per coloro che
implicitamente o esplicitamente si riconoscono al contrario in valori
transumanisti.
Ciò pur tenendo presente che i valori monoteisti, sebbene per lo più in forma secolarizzata, sono ancora largamente dominanti nella nostra società, mentre i valori postumanisti e transumanisti restano strettamente minoritari e patrimonio al meglio di sparute élites, così che il terreno oggi fondamentale è un’azione culturale, prima che politica, mirante a cambiare quella che sono le mentalità tuttora correnti.
Ciò pur tenendo presente che i valori monoteisti, sebbene per lo più in forma secolarizzata, sono ancora largamente dominanti nella nostra società, mentre i valori postumanisti e transumanisti restano strettamente minoritari e patrimonio al meglio di sparute élites, così che il terreno oggi fondamentale è un’azione culturale, prima che politica, mirante a cambiare quella che sono le mentalità tuttora correnti.
D- E
l’inquietante Singolarità … l’Intelligenza Artificiale senziente (dotata
di Coscienza…) cosiddetta prevista da Kurzweil e altri?
Dal mio canto ho fatto di tutto per liquidare (ad esempio nel già citato saggio Intelligenze artificiose)
le accezioni escatologiche di una possibile singolarità tecnologica nel
nostro futuro che sia interpretabile come parusia, comerapture provocata
dall’Avvento di Esseri Superiori Infinitamente Buoni, Saggi e Razionali
dediti a riscattarci da questa Valle di Lacrime; riducendo piuttosto il
concetto stesso di singolarità storica al senso originale della
metafora; che come per le singolarità cosmologiche non predice in realtà
quantità infinite, probabilità superiori ad uno, e altri risultati
insensati da interpretare in un qualche senso misticheggiante, ma fa
semplicemente riferimento a mutamenti di natura sufficientemente
radicali da superare le capacità dei nostri strumenti predittivi e
teorici attuali (“umani”). E naturalmente, nel caso della singolarità
tecnologica, fa riferimento alla volontà, transumanista in senso proprio, di volere che una tale frattura, un tale Zeit-Umbruch,
effettivamente si produca. In questo, non è difficile al contrario
individuare nella visione della Singolarità propria ad esempio a Ray
Kurzweil, e nel paragone costante tra la capacità di elaborazione di un
computer o dell’insieme dei computer connessi dalla Rete e la mente
umana o la capacità aggregata delle menti umane, un’ipoteca
antropomorfica e antropocentrica che rappresenta il pendant futurologico
del residuo umanismo, provvidenzialismo e universalismo a livello
valoriale dell’autore.
E vicersa,
naturalmente, merita di essere demistificato il pendant distopico della
Rivolta delle Macchine, che è facile decostruire come una versione
secolarizzata del mito giudeocristiano del Golem, che continua a
rispuntare, magari paludato sotto le vesti più aggiornate del Principio
di Precauzione, anche negli ambienti più impensabili, e secondo cui
l’incremento progressivo delle capacità di elaborazione dei sistemi di
cui ci valiamo porterà automaticamente alla nascita di AGI non solo
Turing-qualified ma etologicamente antropomorfe e darwiniane in ogni
senso, e tale “bootstrap” tecnologico unito ad una indefinita
flessibilità architetturale comporterà un’accelerazione progressiva nel
succedersi di iterazioni successive sempre più progredite (macchine che
progettano macchine che progettano macchine sempre più evolute, sempre
più velocemente), con il risultato che le stesse compiranno una
“rivoluzione”, prendendo il “controllo”, ed eventualmente soppiantando
il “genere umano” con modalità più o meno violente.
Rispetto a queste narrative più o meno allucinatorie, mi sono permesso di notare che:
Rispetto a queste narrative più o meno allucinatorie, mi sono permesso di notare che:
- un fenomeno o una macchina non hanno bisogno di essere sistemi né intelligenti (nel senso di esibire particolari capacità di elaborare informazioni) né di natura darwiniana (nel senso di “denotato da una tendenza selettivamente determinata a comportamenti funzionali ad una autoperpetuazione e crescita competitiva”) per essere pericolosi;
- un sistema darwiniano per essere illimitatamente pericoloso non ha bisogno di essere particolarmente intelligente (il virus dell’AIDS o le ipotetiche nanomacchine fuori controllo di Bill Joy rappresentando due dei tanti esempi possibili)
- un elaboratore di informazioni può essere illimitatamente intelligente e illimitatamente pericoloso, senza essere affatto darwiniano, e perciò senza esibire alcun processo “mentale” o motivazione propria, del tipo attribuito in questo contesto alle ipotetiche “AGI ostili”, e ciò a seguito di un funzionamento per qualsiasi ragione indesiderabile del sistema stesso (ad esempio in dipendenza delle motivazioni fornitegli dalle sue “periferiche umane”, o di sviluppi semplicemente “deterministici”, ma imprevisti, dettati dalla sua programmazione, per non parlare dei bachi che questa possa contenere.
In
ogni modo, non esistono in effetti elementi che consentono di
dimostrare ad esempio che un cavallo sia a priori un sistema
intrinsecamente più pericoloso di un motociclista di una banda di
teppisti stile Road Warrior, e ciò solo per la maggiore autonomia “psicomorfa” del cavallo rispetto ad una motocicletta.
Resta poi naturalmente da vedere pericoloso per chi. Al di fuori delle astrazioni universaliste o delle favole del secolo scorso, uomini, animali domestici, dèi e macchine non lottano in quanto tali tra di loro, non più di quanto facciano l’insieme delle femmine del regno animale contro il genere maschile, o ipotetiche classi sociali che attraversino “oggettivamente” l’intero spettro delle società umane. Lavorano piuttosto insieme nel combattere avversari collettivi di composizione essenzialmente analoga e nel mantenersi simbioticamente o parassitariamente in essere. Non a caso, con buona pace di Hume, Bentham o Stuart Mill, molti di noi nutrono un gatto, o accudiscono piante da giardino, o celebrano riti, o dipingono quadri, o adornano avatar in Second Life, con risorse che potrebbero facilmente salvare la vita di qualche cospecifico all’altro capo del mondo, e non si sentono particolarmente a disagio nel farlo.
Certo, recentemente alcuni esseri umani hanno avuto il discutibile pri- vilegio di essere tra le prime vittime di armi con una discreta componente robotica, a cominciare dai droni che iniziano gradualmente a rimpiazzare gli aerei tradizionali nella funzione di attacco al suolo. Ma, guarda caso, si tratta di attacchi la cui componente “motivazionale” resta del tutto estranea alle armi stesse, e in cui l’intelligenza crescente dell’arma gioca un ruolo unicamente in rapporto alla sua efficacia, secondo parametri non differenti ad esempio dalla potenza esplosiva in chilotoni o megatoni che una delle parti in un (potenziale) conflitto possa recapitare sugli obbiettivi nemici.
Il che ripropone il tema della sostanziale equivalenza, agli effetti pratici, tra il sistema rappresentato l’uomo alla tastiera di un componente che incorpori certe potenzialità ed autonomie attraverso dispositivi digitali, con una delega elaborativa e creativa in ipotesi crescente, e del sistema che invece implementi la componente “umana” su un altro supporto. Potenzialmente “pericoloso” anch’esso, non c’è dubbio, in particolare per chi si trova dall’altra parte del mirino, ma né più né meno della sua più prosaica ed attuale alternativa.
INFO fonte ECCOLANOTIZIAQUOTIDIANA ROMA...Resta poi naturalmente da vedere pericoloso per chi. Al di fuori delle astrazioni universaliste o delle favole del secolo scorso, uomini, animali domestici, dèi e macchine non lottano in quanto tali tra di loro, non più di quanto facciano l’insieme delle femmine del regno animale contro il genere maschile, o ipotetiche classi sociali che attraversino “oggettivamente” l’intero spettro delle società umane. Lavorano piuttosto insieme nel combattere avversari collettivi di composizione essenzialmente analoga e nel mantenersi simbioticamente o parassitariamente in essere. Non a caso, con buona pace di Hume, Bentham o Stuart Mill, molti di noi nutrono un gatto, o accudiscono piante da giardino, o celebrano riti, o dipingono quadri, o adornano avatar in Second Life, con risorse che potrebbero facilmente salvare la vita di qualche cospecifico all’altro capo del mondo, e non si sentono particolarmente a disagio nel farlo.
Certo, recentemente alcuni esseri umani hanno avuto il discutibile pri- vilegio di essere tra le prime vittime di armi con una discreta componente robotica, a cominciare dai droni che iniziano gradualmente a rimpiazzare gli aerei tradizionali nella funzione di attacco al suolo. Ma, guarda caso, si tratta di attacchi la cui componente “motivazionale” resta del tutto estranea alle armi stesse, e in cui l’intelligenza crescente dell’arma gioca un ruolo unicamente in rapporto alla sua efficacia, secondo parametri non differenti ad esempio dalla potenza esplosiva in chilotoni o megatoni che una delle parti in un (potenziale) conflitto possa recapitare sugli obbiettivi nemici.
Il che ripropone il tema della sostanziale equivalenza, agli effetti pratici, tra il sistema rappresentato l’uomo alla tastiera di un componente che incorpori certe potenzialità ed autonomie attraverso dispositivi digitali, con una delega elaborativa e creativa in ipotesi crescente, e del sistema che invece implementi la componente “umana” su un altro supporto. Potenzialmente “pericoloso” anch’esso, non c’è dubbio, in particolare per chi si trova dall’altra parte del mirino, ma né più né meno della sua più prosaica ed attuale alternativa.
http://www.biopolitica.it
http://www.biopolitix.com
http://www.divenire.org/autore.asp?id=3
*a cura di RobyGuerra rubrica Transumanesimo?