Angelo Giubileo, Alle origini dell’europeismo postmoderno

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Da: Angelo Giubileo <angelogiubileo6@gmail.com>


Merita particolare attenzione una delle pubblicazioni più recenti della casa editrice milanese Società Aperta, dal titolo Libertà e liberazione, la quale raccoglie tre scritti redatti separatamente da Germaine de Stael, meglio nota come Madame de Stael, Simonde de Sismondi e Benjamin Constant. Si tratta di tre dei massimi esponenti del gruppo Coppet, un gruppo di intellettuali riuniti principalmente per iniziativa della De Stael.

Gli scritti sono, in ordine temporale: Des circostances actuelles (1798) della De Stael, Storia delle repubbliche italiane del Medioevo (1818) del Sismondi e Libertà: antica e moderna (1819) del Constant. La lettura e la successione temporale dei testi lascia in qualche modo intravedere una maturazione e in parte una ridefinizione del pensiero condiviso degli autori, nell'intervallo di tempo intercorso tra la Rivoluzione francese (1789), la fine del Terrore (1794), e gli esiti della Restaurazione europea così come sanciti dal Congresso di Vienna (1815). I testi, riediti, sono preceduti da una sagace introduzione di Mauro Barberis, che intravede nei documenti e in contrasto con essi molti degli elementi di critica necessari a un'analisi concreta dell'attualità postmoderna.

In particolare, secondo il mio modesto parere, Barberis coglie esattamente il <nodo gordiano> dell'intera questione della libertà e liberazione, sottolineando come la lettura della distinzione tra una presunta libertà degli antichi diversa da una presunta libertà dei moderni "forse finisce con il sospetto, vagamente trans-umanista, che non ci sia proprio, una natura umana sempre uguale a se stessa, ma dipenda dal mutare sempre più vorticoso delle forme di vita" (Introduzione, pag. 29).

Sospetto escluso dal pensiero comune dei tre autori e quindi una presunta <verità> che diventa il fondamento di una teoria soltanto, perché è evidente che di questo si dovrebbe discutere invece che di presunti fatti e opinioni dai medesimi scambiati per verità. A tale proposito, pur nello slancio di una sintesi maggiormente definita, Constant rivendica infatti, con mero arbitrio: "Se sono riuscito a farvi condividere, signori, l'opinione che sono convinto debba essere prodotta da questi fatti, riconoscerete con me la verità dei principi seguenti" (pag. 81).

In termini assolutistici e dogmatici, altro che <repubblicani>, la verità circa una, anzi "la natura delle cose" alla quale il governo dovrebbe conformarsi, oltre che "occorrerà che questa opinione si schieri con la Repubblica, altrimenti il governo non sarà mai stabile" (De Stael, pag. 33). Alla costruzione teorica, e quindi ideale, e in ogni caso unitaria del gruppo Coppet era ed è tuttavia estraneo un elemento, viceversa fondamentale: il Popolo. Popolo che, nel linguaggio della de Stael, diventa pertanto Massa: Ecco qui l'opinione di questa massa: Essa è abbastanza illuminata dagli scrittori e dalla stessa Rivoluzione per non preoccuparsi in alcuna maniera del destino della monarchia, ma non è neppure abbastanza entusiasta per volere la Repubblica al prezzo della propria tranquillità" (De Stael, pag. 32). E questo sarebbe un male, secondo i tre autori, perché impedirebbe in ogni caso ciò che, necessariamente, sarebbe il perfezionamento dell'uomo: … La felicità dell'uomo che ha coltivato il proprio spirito e il proprio cuore, che ha sviluppato tutte le proprie facoltà, è più conforme alla dignità della natura umana, è più nobile e più dolce insieme, e una volta gustata non la si scambia con la tranquillità del riposo né coi piaceri fisici. E tuttavia non è il piacere spirituale, per quanto componente essenziale della felicità, e neppure la felicità stessa lo scopo della nostra vita o dell'azione di un governo: piuttosto, è il perfezionamento dell'uomo. Spetta ai governi realizzare il fine che la Provvidenza ha assegnato alla natura umana (Sismondi, pag. 64).

Breve annotazione aggiuntiva: lo scopo del perfezionamento dell'uomo diventa così un elemento che unisce determinate visioni, diverse ma unitarie, che si succedono nel tempo, e che gli autori ritengono – condivisibilmente - appartenute in passato all'esercizio di un potere assolutistico prima <religioso> e poi <monarchico>, ma - a differenza di quanto essi stessi dicono - anche <repubblicano> e, nell'attualità, <transumanista>.

La teoria <repubblicana> degli autori vuole che l'uomo e la natura dell'uomo siano al centro di un progetto in qualche modo comune a Dio e allo Stato. Questa concezione ideale trova la sua massima e più compiuta espressione nel pensiero della filosofia hegeliana, che in definitiva apre al Terrore del secolo scorso, a est come a ovest, culminato nello scoppio di due guerre mondiali. D'accordo con gli autori, e in forma naturalmente postuma: non certo per volere (della tranquillità) del popolo o dei popoli.

I danni che può produrre un'idea, soprattutto contro la volontà reale di un popolo che, come dicono i tre autori concordemente, ha preferito e preferisce "la propria tranquillità" rischiano di diventare tragici e irreparabili. Questa dovrebbe essere una lezione valida per ogni epoca, così come per la nostra allorché si vuole e si preferisce confondere la soggettività del <popolo> con l'aggettivazione <populista>. E ancor più se, come per lo scritto di Sismondi sulla libertà degli italiani dal Quattrocento al Settecento, Bizzocchi osserva che "molte di queste affermazioni sono esagerate o infondate" (Sismondi, pag. 53).

A sostegno delle proprie tesi, i tre autori introducono una distinzione - poco <scolastica>, ma che purtroppo ha fatto viceversa molta scuola - tra una presunta <libertà degli antichi> e una presunta <libertà dei moderni>, qualificando anche, corrispondentemente, l'una "attiva" e l'altra "passiva" oltre che, sempre in corrispondenza, l'una "politica" e l'altra "civile". Una differenza, tuttavia, basata essenzialmente su un'unica idea di <schiavitù>, che imporrebbe una partecipazione obbligatoria dell'individuo alla gestione, indiretta o diretta, della <cosa pubblica> mediante la guerra o il commercio. Per l'appunto, Sismondi scrive che - dall'epoca post-impero romano e fino alla fine del XVI secolo - i padroni barbari si accorsero presto che gli uomini liberi lavoravano meglio degli schiavi (…) La schiavitù cessò in questo modo, e non per legge, perché quel vergognoso commercio non fu vietato" (Sismondi, pagg. 42-44). E aggiunge, particolare nient'affatto trascurabile rispetto ai sedicenti tempi attuali, come se fossimo alla corte feudale dell'autore del Gattopardo, Giuseppe Tomasi di Lampedusa, che: Oggi la schiavitù sopravvive in tutta l'Europa orientale, dalla Russia all'Ungheria… (Sismondi, pag. 45). Come se, cambiano le corti ma le idee restano le stesse.

Alla scuola dei tanti stereotipi - del tutto falsi come quelli per cui "secondo la nostra concezione della libertà, la felicità consiste nell'inazione, mentre per gli antichi consisteva in un'attività incessante" (Sismondi, pag. 63) o il fatto che "gli ateniesi fecero morire Socrate per aver messo in discussione il politeismo" (Constant, pag. 84) - vorrei qui concludere con questo che potremmo definire un contro-esempio della teoria della <corte repubblicana> in ordine al principio dell'educazione: cosa non ci dice sulla necessità di permettere che il governo s'impadronisca delle nuove generazioni per modellarle a proprio piacimento! E con quali citazioni erudite viene sostenuta questa teoria. I persiani, gli egizi, la Gallia, la Grecia e l'Italia ci vengono fatti a turno sfilare sotto gli occhi. E con questo? Signori, noi non siamo persiani sottomessi a un despota, né egizi asserviti ai preti (N.d.R.: né cittadini asserviti ai massoni europei), né galli che potevano essere sacrificati dai loro druidi, né infine greci e romani, i quali avevano nella partecipazione all'autorità sociale una consolazione all'asservimento privato. Siamo moderni, vogliamo godere ciascuno dei nostri diritti, sviluppare ognuno le proprie facoltà come meglio ci sembra, senza nuocere ad altri (Constant, pag. 84).

Rammentando a tutti noi che "la sovranità appartiene al popolo".

Angelo Giubileo



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