Lo scetticismo e i simulacri della storia
Lo scetticismo e i simulacri della storia
In questi giorni, a seguito della morte tragica di George Floyd, è risuonata in tutto l'Occidente l'eco di manifestazioni di proteste mirate soprattutto all'imbrattamento o alla decapitazione di statue di personaggi accusati di essere stati anch'essi protagonisti in passato e in qualche modo di episodi razziali o segregazionisti. In generale, come dimostrato anche dalla rimozione del film "Via col vento" dalla nuova piattaforme di streaming Hbo Max, il fenomeno ha riguardato ogni forma odierna di rappresentazione.
E, tuttavia, bisogna fare ricorso ai fatti dell'antichità storica per capire il senso intrinseco ma oggi meno manifesto di siffatti episodi. E pertanto: nell'antichità le forme di rappresentazioni erano costituite, come anche oggi, senz'altro da immagini, incisioni, scritture e statue. In particolare, quest'ultime assolvevano alla funzione di essere maggiormente rappresentative perché maggiormente visibili e comprensibili ai più, tanto che spesso venivano poste su un piedistallo sempre al fine di accrescerne la visibilità, non tanto agli occhi di chi le erigeva quanto agli occhi di ogni "altro".
Pertanto, è stata ed è sempre una questione di immagini o rappresentazioni, che tuttavia nulla toglie o aggiunge al peso, misura o valore del committente e artista che le produce. Infatti, accade che episodi come anche l'abbattimento delle due statue del Buddha di Bamiyan, avvenuta a opera dei musulmani iconoclasti nel marzo del 2001, finiscano per produrre l'effetto esattamente contrario a quello originariamente voluto. E tuttavia, c'è anche un'altra spiegazione da dare, se è vero che anche oggi la creazione o cancellazione di un'immagine rappresentativa, piuttosto un'icona, genera ancora una così veloce, alta e forte partecipazione emotiva nei tanti che si ritengono "cittadini" invece che "barbari".
La spiegazione ha a che fare con il significato e il senso del "sacro". Gli antichi identificavano l'intera natura (e non il dio) con il sacro (o il divino), mentre ogni parte (cosa o ente) della natura era intesa come una mera rappresentazione visibile dell'"essere che è", nel senso di Parmenide; e pertanto tutto ciò che "è", visibile e invisibile, non poteva e non può che costituire un mistero, il mistero supremo per cui l'uomo non è capace di alcuna spiegazione. Oggi, invece, si ritiene comunemente di separare il visibile dall'invisibile e definire "sacro" anche ciò che appartiene al regno esclusivo del visibile, al mondo cosiddetto della luce; così che il sacro, il divino, il dio stesso prenda parte risolutiva nella propria rappresentazione e l'immagine rappresentativa in genere assuma quindi un significato, un valore, un peso differente, altro, diverso, che invece essa non ha e nemmeno può avere.
In un mondo secolarizzato come il nostro, ciò spiega anche perché tra qualche giorno il fenomeno delle proteste medesime altrettanto presumibilmente finirà. Senza che i nuovi fatti possano smentire la storia realmente accaduta e soltanto in parte o di parte, e quindi visibilmente, rappresentata. Dato che, direbbe ancora Parmenide, il maggiore degli scettici eterni, tutte le cose si chiamano tenebra e luce, ciascuna secondo efficacia di queste sull'una o sull'altra, tutto è pieno ugualmente di luce e notte invisibile, entrambe alla pari, nulla pertiene né all'una né all'altra.
Angelo Giubileo