Vitaldo Conte_La rosa rossa... di G (racconto)



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È uscito il racconto di Vitaldo Conte, La rosa rossa abbandonata di G, in AA.VV., Il libro delle storie finite, FusibiliaLibri, 2020, a cura di Dona Amati, con una nota di Ugo Magnanti. Il testo, scritto diversi anni fa, riprende il ricordo di un suo lontano incontro d'amore con una donna, una importante scrittrice (oggi deceduta), che l'autore ripercorre attraverso una successiva lettera di lei.

Vitaldo Conte: "La rosa rossa abbandonata di G"

Il mio sguardo incontra, in una sera d'autunno, la cartella rossa sopra l'ultima mensola della libreria. È poggiata in alto, dove nascondo le cose che appartengono al mondo dei miei ricordi e segreti. (…) Nella cartella c'è, fra le varie carte, una busta ingiallita con dentro una lettera. È accompagnata dalla presenza di petali secchi di una rosa rossa, ormai friabile trasparenza. La carta ingiallita si offre al mio sguardo.
Forse la passione per un fiore, la rosa rossa, che accompagna la mia esistenza sotterranea, m'induce a scriverti. (…) questa rosa può intrecciarsi alla statua immobile di un ricordo, quello di un angelo barocco. È la tua, amore mio irraggiungibile.

È G. Il ricordo di lei s'incarna, mentre inizio a leggere la lettera. Aveva gli occhi e i capelli di un nero d'oriente, la bocca carnosa a forma di cuore. Assumeva un'aria strana, ondeggiante fra la strega e la maliarda, che mi aveva intrigato ma anche insospettito.
È stata una sfida con me stessa trovare il coraggio d'invadere il tuo privato. Perché proprio a te e non agli altri uomini? Perché farlo con gli altri è troppo facile: sono uomini-uomini, sconosciuti e scontati. Tu sei per me, che sono stata una vita in oriente, il millesimo e uno: sei il più difficile, misterioso e deludente. (…) A te offrii la mia rosa di carne: era rossa di passione. Ma tu l'abbandonasti.

Il ritrovamento della lettera m'induce, come per un viaggio naturale, a ricordare il periodo narrato. Ero poco più che un ragazzo quando conobbi G. Mi fu presentata da un'amica poetessa. Lei, nota scrittrice, m'invitò, qualche giorno dopo, a casa della comune amica di cui era ospite, per leggere le mie poesie.
Il nostro colloquio, nell'incontro, divenne intimo. Le mani s'incrociarono più volte, come le nostre bocche. Ma, avendo nella serata un appuntamento con un'altra donna, le dissi, a un certo momento, che dovevo andare via. Lei però considerò questa decisione un abbandono per non rapportarmi sessualmente con lei. Forse aveva ragione. M'inseguì fino alla porta di uscita con i suoi rigogliosi seni scoperti.
– Ti voglio – mi diceva – Voglio fare l'amore con te. Sento che mi sei appartenuto in un'altra vita. Fermati un po' con me, ho bisogno di amarti. Non abbandonarmi ancora una volta.
Mi confondeva la situazione. Avvertivo però che lei voleva possedermi per conoscere la mia essenza.

Non so perché sono fuggito da G in quel modo. Il mio appuntamento non era così prossimo nell'orario da impedirmi di stare un po' con lei. (…)
Non ho potuto offrire a G il fiore richiesto, perché non l'ho più incontrata. So che poi è morta. Oggi la rosa rossa, che palpita sul mio ventre come tatuaggio d'amore, vorrebbe incontrare il suo corpo per amarlo.