Enzo Papetti regista e scrittore, intervista
a cura di R. Guerra
D - Tra cinema e letteratura, il suo percorso creativo, da una decina d'anni. Una sorta di cifra neosurrealista, impreziosita da una ammirevole "leggerezza"?
R - Narrare ha sempre voluto dire servirsi di sistemi linguistici affinché una vicenda, una storia godesse delle condizioni più appropriate per convincere e appassionare un determinato pubblico. Nel corso del tempo questi sistemi si sono trasformati e spesso fra loro confusi. Con l'apparizione del web e la contemporanea presenza di una discreta molteplicità di piattaforme digitali la richiesta di competenze linguistiche si è via via allargata. Il tema della multimedialità è sempre stato centrale nel mio lavoro e quando ho deciso di misurarmi con un romanzo non ho potuto fare a meno di riconsiderare la questione: in pratica cosa voglia dire oggi scrivere un racconto. L'industria culturale, da questo punto di vista, non si è dimostrata fin qui particolarmente sensibile al problema e la sua indifferenza penalizza una fetta importante della ricerca letteraria. So di muovermi all'interno di un territorio scivoloso, denso di rischi, ma sono anche convinto che sia necessario farlo. Con quali risultati non tocca a me dirlo. Nella domanda si allude a una mia tendenza espressiva neo-surrealista. Il termine, a mio modo di vedere, se lo si intende alla maniera di scrittori come Cocteau, Apollinaire o a pittori come Salvator Dalì, temo non mi si addica molto. Se invece serve a sottolineare l'ironia che attraversa le mie storie e accompagna i personaggi che in esse agiscono, allora posso condividerlo... almeno nella misura in cui affrontano l'apparente normalità di tutti i giorni con scelte spesso bizzarre e imprevedibili.
D-Spicca una sperimentazione molteplice di giochi linguistici, ci pare ispirata anche dalla migliore psicanalisi dopo certo ritorno di Lacan a Freud e in certo modo nel cinema al miglior Woody Allen?
R -La risposta alla prima domanda fa capire che il mio campo d'azione occupa uno spazio parallelo a quello che abitualmente viene definito sperimentale... senza per questo coincidervi del tutto. È vero, i miei scritti elaborano strutture articolate, non tradizionali, utilizzano più voci narranti, mischiano generi, cultura classica e popolare, danno importanza a elementi extra-diegetici, etc. Ma il mio orizzonte non è – almeno, non è solo - l'esplorazione formale, non sono i giochi linguistici, la riflessione sui vettori tipologici di un racconto, bensì il senso cui questo approda, la sua capacità di indagare il reale, in quanto strumento di interpretazione del mondo. La mia esperienza letteraria aspira a tracciare una risposta "politica", nel senso di partecipazione e condivisione di una koinè, di una comunione culturale. Anche se poi la mia vocazione critica, la mia disposizione a mettermi al servizio di "compiti nobili", coincide con l'obiettivo di far sorridere, di creare momenti renitenti alla seriosità, alla predica, alla sentenza.
D - Il Papetti scrittore, il suo ultimo romanzo, Perché ci hai messo tanto?
R - L'Oggetto piccolo b, Perché ci hai messo tanto? E Hexis - in uscita a giugno/settembre – nascono come idee per la stesura di soggetti cinematografici più o meno intorno agli anni 2007/2009.
Non diventeranno mai sceneggiature compiute e resteranno nel cassetto una decina d'anni. Quando decido di scrivere un romanzo, li riprendo in mano e li adatto alle mie nuove esigenze.
Siamo nel 2019. Da subito li concepisco come una trilogia sul tema dell'amore, come momento di congiunzione tra l'Io e il Noi – relazione fra il piano della soggettività e della socialità - che fa di ogni storia d'amore una vera e propria sfida. Da qui lo sviluppo delle trame a più voci, la scelta di nascondermi dietro eteronimi. Testi di un solo autore con più nomi, tanto più stravaganti quanto questi nomi appartengono a persone reali, in carne e ossa e si prestano al gioco. Filibusteria plurima.
D - "Perché ci hai messo tanto?" episodio 2 di una prevista trilogia. Nel vortice anche dell'attuale era del virus e del futuropresente....Il Senso del Futuro, oggi perduto tornerà a brillare?
R - Malgrado "Perché ci hai messo tanto?" trasudi ad ogni pagina scetticismo e distacco ironico, disegni un presente privo di certezze, esposto a trasformazioni epocali e personaggi in balia di se stessi, non comunica affatto desolazione e suggerisce un invito a coltivare un sentimento di speranza. La pandemia fa da sfondo a vicende che si sviluppano contemporaneamente in un arco di tre ore, in tre luoghi diversi. Il racconto intreccia tre storie in bilico fra finzione e realtà, sospese in un tempo che si proietta in una dimensione dove tutto cambia a una velocità che non riusciamo più a controllare, immateriale e globale, contraddittoria e disarmonica. Eppure, da un angolo nascosto della loro coscienza, i protagonisti del romanzo trovano il coraggio di proseguire lungo la loro strada, certo mettendo in conto di fallire, senza per questo scartare la possibilità che qualcosa di buono rimanga da fare. Quando tutto sembra perso non rimane che credere in un futuro migliore. Follia?
Probabilmente. Ma se così fosse, allora è la follia che ci salverà.
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https://www.corrierenazionale.it/2021/12/18/fuori-il-nuovo-libro-di-enzo-papetti/
https://www.dire.it/03-12-2021/689905-perche-ci-hai-messo-tanto-enzo-papetti/