CONVENZIONE E NATURA NEL PENSIERO POLITICO MEDIEVALE.

Ciò che separa la filosofia politica medievale dalle dottrine di Aristotele e di Platone e da quelle del XIX secolo è un grande presupposto: cioè che le istituzioni della società civile abbiano come base non già la natura, bensì la convenzione. Tale distinzione non è affatto liitata al Madioevo, poiché in continuò a dominare il pensiero europeo fino alla seconda metà del secolo XVIII. fu anzi soltanto con Montesquieu, con il Contract social di Rousseau e con Burke che si consolidò il ritorno tipicamente moderno al modo di pensare aristotelico e platonico. Non è il caso di discutere questa circostanza, dal momento che non vi è dubbio che le concezioni di Hooker, Hobbes e di Locke, per quanto diverse fra di loro, hanno tuttavia una base comune nella distinzione tra natura e convenzione. Durante il Medioevo la filosofia politica corrente non fu aristotelica, ma trasse piuttosto origine dal pensiero post-aristotelico, tramite il diritto romano e le opere dei Padri della Chiesa. Soltanto nel XIII secolo i pensatori medievali ebbero conoscenza della dottrina politica aristotelica e in genere del pensiero greco tramite la mediazione dell'Islam e dei suoi grandi filosofi. Gli effetti di questa scoperta, o meglio riscoperta, ebbe sul tentativo di San Tommaso d'Aquino di dare ad alcuni concetti fondamentali di filosofia politica una nuova formulazione in termini aristotelici. Secondo i pensatori post-aristotelici la natura, poiché rappresenta principalmente lo stato originale e primitivo del mondo e della vita umana, è uno stato di innocenza e di felicità, che l'umanità ha perduto in seguito alla comparsa nell'uomo del male e del peccato. Gli Stoici, per lo meno, secondo quanto ci dice Seneca a proposito di Posidonio, fantasticavano di un'età dell'oro durante la quale gli uomini, nati da poco dagli dei, erano dotati di un'indole incorrotta, di un animo nobile, e vivevano in società pacifici e beati, senza provare la necessità di un potere coercitivo, né il desiderio della proprietà individuale. Fu la comparsa del male nel mondo a privare gli uomini di questa vita innocente e felice; essi si trasformarono in creature ambiziose e in esseri assetati di ambizione e di autorità, avari, e non più paghi di godere in comune i beni della terra. Questo concetto della differenza tra lo stato naturale e convenzionale è implicito nella trattazione della legge di natura che fece, sia nel II secolo che nel VI secolo, la giurisprudenza romana; anzi, è appunto in certe formule appartenenti a questa stessa trattazione che esso riceve la sua espressione più incisiva. Per quanto riguarda il diritto naturale, dice Ulpiano, tutti gli uomini sono eguali e secondo lo stesso diritto dovrebbero nascere liberi; la schiavitù, afferma Fiorentino, è contraria a natura. I giuristi romani si occuparono del tema della natura in una maniera certo non esente da ambiguità, ma giunsero a conclusioni generali coerenti.
Casalino Pierluigi, 28.06.2014