Il Pensiero Politico Stoico Antico. Lineamenti

Nonostante tutta la sua universalità e il suo cosmopolitismo, e persino il fatto di includere gli schiavi nella r , lo stoicismo era ben lungi dal rappresentare un'influenza livellatrice e democratica. Le teorie etiche stoiche produssero quasi l'effetto opposto di quelle fisiche; e se non si avvertì l'incompatibilità fra di esse, ciò non fa che dimostrare la sempre minore importanza della filosofia politica come determinante della pratica politica. L'ideale stoico perfettamente saggio, virtuoso e capace, sebbene in origine non lo si concepisse come un politicos, tende piuttosto al regime monarchico e personale, e al mantenimento di una classe superiore nella società. Non deve sorprenderci vedere che gli stoici frequentavano i re e le corti del mondo ellenistico: era il modo migliore per esercitare la loro influenza. E, sebbene fra gli Stoici fossero argomento di discussione in quale misura l'uomo saggio dovesse dedicarsi agli affari d'una città, c'erano molti di loro che non avevano dubbi in proposito e ancora notevole era l'autorità riconosciuta alle dottrine delle scuole filosofiche. Ma a rigor di termini, essi approvavano il regime monarchico solo qualora fosse nelle mani di un saggio stoico, il quale, naturalmente, non era reperibile in nessun luogo; e così giravano la questione, dicendo che solo il saggio era re o capace di esserlo; le parole "governante" e "re" sono propriamente applicate non a chi esercita la sua autorità su molti, ma a colui che possiede la scienza di governare. Allo stesso modo, solo l'uomo saggio può realmente essere un legislatore o un educatore, o esercitare qualsiasi altra funzione pertinente a quella che era detta abilità politica. Presentato in tal modo, il concetto, anziché paradossale, è un appello ad una forma più elevata di governo: come tale avrebbe avuto l'appoggio di Platone, oltre che un significato accettabile per l'uomo comune. C'era tuttavia un'aria di mistificazione in molta parte del pensiero politico stoico, con il suo saggio inesistente e la sua fittizia fraternità; gli Epicurei erano più realisti. Il loro maestro, Epicuro, si proponeva in genere la stessa meta di Zenone: trovare il mezzo per rendere la vita umana più sopportabile; e il suo credo, come lo stoicismo, interessava sopratutto le classi elevate. Ma le diagnosi che Epicuro faceva della malattia era diversa, e la cura da lui suggerita, basata sulla fisica e fino ad un certo punto anche sull'etica di Democrito, è del dissimile da quella stoica. Egli riteneva che il nostro male peggiore fosse la paura: paura della morte e paura di vivere con la paura della morte; paura di un altro mondo; paura del sopraggiungere di eventi imprevisti proprio quando le cose stanno andando bene. La vecchia città-Stato e i suoi dei avevano contribuito a mitigare tali paure, e per Democrito la felicità era tutt'uno con la polis. Ai giorni di Epicuro una città poteva solo servire da barriera contro le contrarietà, contribuendo così a quella mancanza di preoccupazione (atarassia) che tutti gli uomini desiderano. Una città ci aiuta anche a fare amicizie, e per Epicuro l'amicizia è una delle maggiori felicità della vita. Per servire a questi scopi, una città deve essere in grado di assicurare la pace nel suo seno; i cittadini debbono essere osservanti delle leggi, concordi nell'astenersi dal mal fare, perché la giustizia naturale è u indice di quello che è opportuno per non infliggere e non subire torti. La giustizia è quindi conforme alla natura, anche se differisce da luogo a luogo e da tempo, poiché, dopo tutto, gli uomini differiscono anche circa quanto è conveniente. E' conveniente essere giusto e virtuoso, perché altrimenti è impossibile una vita piacevole, e il più gran frutto della giustizia è la atarassia. D'altra parte, la giustizia non è cosa a sé stante (kat'eautò), non è buona assolutamente, ma solo relativamente, in quanto contribuisce alla nostra felicità e rende possibile la vita civile. L'ingiustizia non contribuisce alla nostra felicità; chi agisce ingiustamente è sempre infelice. ma anche la sua malvagità è soltanto relativa; l'ingiustizia non è un male in stessa. Il carattere naturale della giustizia non è contraddetto dal dal concepirla come un accordo o un patto di non far torto o di non subirlo. Epicuro è d'accordo con Eraclito, Democrito e Protagora nel distinguere la maggioranza degli uomini da una vera élite intellettuale, ma non ci ha lasciato alcuna memoria di una struttura sociale in cui si fosse riusciti ad attuare e a mantenere tale sistemazione. egli sapeva che, nel passato, al progresso della civiltà aveva giovato l'opera attiva di re e di governanti saggi. L'uomo saggio deve invece mirare ad un esistenza di tranquilla onestà, lasciando la vita politica a chi veramente in essa vi trovi la felicità. Il virtuoso secondo lui è solo colui che si era liberato da ogni paura e preoccupazione.
Casalino Pierluigi, 25.06.2014