Quando si parla di generazioni a lavoro si pensa immediatamente ai Millennials. Come se fossimo (sono una Millenial anch'io) la grande novità delle realtà professionali. Un gruppo di giovani sbarcati quasi dalla Luna, con cui è fondamentale imparare a relazionarsi.
Ma siamo sicuri che focalizzarsi solo sui Millennials sia corretto?
Parliamo di persone nate indicativamente tra il 1980 (qualcuno parla addirittura del 1977) e il 1994. Si tratta di un gruppo di lavoratori con un'età anagrafica compresa tra i 40 (eh sì i 40) e i 25 anni. In questa larga fascia, ci sono sì dei neolaureati alle prime armi ma, attenzione, perché la maggioranza delle persone compone già una gran bella fetta di tutte le realtà aziendali e professionali, ha una certa seniority e ricopre ruoli di peso.
Se ciò su cui vogliamo proiettarci è il futuro, dobbiamo fare pace coi Millennials (che sono già il presente), e volgere la nostra attenzione piuttosto alla Generazione Z, i nati tra il 1995 e il 2012. Una schiera di giovani, circa 2 miliardi in tutti il mondo, che nel 2025 costituirà oltre il 30% della forza lavoro. Sono i nativi digitali, cresciuti nel pieno boom della rete, del tablet e degli smartphone. Iniziare a studiare le loro caratteristiche e i loro bisogni serve a giocare d'anticipo.
Se ciò su cui vogliamo concentrarci invece è il presente, dovremmo guardare al quadro complessivo, piuttosto che solo ai più giovani. Quante generazioni ci sono in azienda, o negli studi, oggi che si lavora più a lungo che mai? I baby boomers (nati tra il 1946 e il 1964), la Generazione X (nati tra il 1965 e il 1976/80), i Millennials e a breve arriverà anche la Generazione Z. Ognuna di queste ha le sue peculiarità ed esigenze. Non si può tenere conto solo di alcune a discapito di altre.
Creare un ponte tra persone così diverse fra loro e aiutarle a lavorare all'interno di una stessa squadra, dando il giusto peso alle necessità di tutti è complicato. Ma è l'unico approccio vincente.