Marinetti e il Fascismo, tra movimento e regime.

L'opera teatrale di Marinetti si inserisce in un sistema creativo "brillantemente" ibrido. Anarchico nei suoi impulsi ad un tempo elitario ed antielitario, costruttivo ed distruttivo, esso era rivolto al dialogo con la cultura popolare dell'epoca e persino dialettale, senza mai rinunciare alla propria ispirazione e vocazione nei confronti di forme più elevate di arte drammatica. Per quanto ostile alle platee del teatro tradizionale, corteggiò sia queste ultime che le loro controparti culturali, senza cercare di diventare un fenomeno di massa. L'ambivalenza iniziale di Marinetti verso il cinema è indicativa anche a riguardo della complessa questione del successo popolare. Da un lato, Morinetta lodava il teatro di varietà per il suo ricorso al cinema per tutte le sue implicazioni sul piano spettacolare e come base di rilancio dell'idea futurista; dall'altro immaginava il teatro sintetico futurista in modo difensivo e capace come tale anche di vincere la concorrenza cinematografica. Il vero problema di Marinetti era quello di tutelare il teatro dalle crescenti concorrenze, quali lo stesso cinema e tutti gli altri eventi di massa.compresi quelli sportivi in ascesa vertiginosa. Tali quesiti si colorarono di politico nel momento in cui fu proclamato il regime fascista. Marinetti, tuttavia, si allontanò presto dal fascismo quando questo sostituì il movimento con lo stato, perdendo il suo carattere d'avanguardia. Solo più tardi si riconciliò con la dittatura mussoliniana, ritenendo di esaltarne le potenzialità avveniristiche e di grande respiro, difendendone anche nelle sedi internazionali le tesi sullo spettacolo. Non dimeno, però, Marinetti non se la sentì mai di portare avanti la linea fascista dei teatri di Stato.
Casalino Pierluigi, 19.02.2015