Dante e Ulisse.




Da: Pierluigi Casalino  


Dove Dante ha incontrato Ulisse? Ecco una domanda paradossale, ma che tale non è in quanto tra i poeti e i grandi della storia e del mito il rapporto fantastico e creativo si verifica sempre non casualmente, bensì all'interno di una identificazione, non di rado inconscia, di un'affinità profonda, di una misteriosa omogeneità di destino, di un comune richiamo dell'alto, comunque questo abbia poi a qualificarsi. Naturalmente è arduo rispondere a questa domanda, anche se è lecito tentarlo, sebbene ci obblighi a ripercorrere a tentoni, nella luce crepuscolare delle agnizioni segrete, i cammini più tortuosi ed affascinanti della genesi di alcuni dei più grandi miti poetici. Nel rapporto tra Dante e Ulusse probabilmente è da cogliere uno stimolo che travalica la cultura ed investe direttamente l'anima in una delle sue zone più profonde e quindi ineffabili. Dante fu autorizzato alla sua "visione" non soltanto dalla potenza della sua fantasia e  dall'incombenza di un drammatico destino: la radice più segreta d'essai stette, certo, nel presentimento mistico di essere un destinato a lei da un'investitura divina. Egli si sentiva misteriosamente scelto dalla volontà celeste ad essere strumento, in quell'alba del nuovo secolo, per ricondurre l'umanità, attraverso, l'iniziazione del giubileo- penitenza e la riconquista dell'autenticità del messaggio redentore di Cristo- nel solco del progetto di salvezza cosmica, disatteso e contrastato dalla molteplice peccaminosita' sia degli eredi di Cesare che degli eredi di Pietro. Ed è nello spirito di questa investitura mistica che Dante si è incontrato con Ulisse. A consegnarli alla sua fantasia è stata solo la sua paradigmicita' di eroe omerico che nella propria avventura per recuperare la patria deve fare, tra le altre esperienze respiratorie ed illuminanti, anche quella dell'Ade, ma l'eredità (filtrata fino a lui dal pensiero greco e della quale Plutarco sarà l'ultima grande voce) che esistono "uomini divini" come Socrate ed Epaminonda, nei quali si rivela  segretamente ed ambiguamente, un'attenzione particolare, quasi una designazione, dall'alto che equivale di fatto ad una sorta di predestinazione. Mistero che può condurre talora attraverso il male più atroce (come si vede nell'Esito di Sofocle), talaltra può condurre l'uomo a sfiorare il mistero delfino della giustizia divina. Ulisse è uno di questi predestinati e Dante dovette sentirlo fraterno in questa specie di investitura che, tramite un cumulo labirintico di esperienze, la divinità gli concedeva, reso esperto  dei "vizi umani e del valore", di poter fissare lo sguardo oltre il termine fisso dell'esperienza esistenziale e intravedere l'aurora della giustizia trascendente. Le visioni plutarchiane de "Il demone di Socrate" e di "I ritardi della punizione divina", riproposti di recente da penetranti analisi critiche, anche resti improbabile se non impossibile una dipendenza dantesca diretta, se pur possa essercene una indiretta, ci confermano però che alla scelta di Ulisse da parte della fantasia dantesca dovette corrispondere sia una necessità di segnare con esso il limite invalicabile da parte di un pagano di spingersi aldilà del confine della visione sia la celebrazione dell'eroe che, nell'ambito della grande civiltà e spiritualità precristiana, segna il culmine da parte degli dei dell'investitura dell'umano alla rivelazione del divino. Nell'umanità di Ulisse prescelta a sfiorare il mistero, Dante vide un lontano prototipo di umanità  che in lui veniva gratificata dalla pienezza della visione, dell'eroe pagano goduta solo come presagio e pallida immagine a conferma, se ce ne fosse bisogno, che per Dante veramente tutta la storia dell'umanità è da ricondurre, se pure a diversi livelli di trasparenza e di partecipazione, sotto la costellazione del sacro anche se la luce fondante di questo si sarebbe esplicitata nella autenticità ed integralità unicamente con l'Incarnazione che segna appunto il momento della pienezza dei tempi, nel quale un velo d'ombra si sarebbe squarciato e la carne del Figlio di Dio avrebbe svelato per sempre la fonte della luce rivelatrice e salvatrice. Ulisse quindi resta, fra tutte le grandi creazioni di Dante, quella probabilmente, che egli sentì più vicina profeticamente alla propria concezione profonda: fraterna ad inoltrare l'avventura mondana dal tempo all'eterno, sfiorata essa stessa dalla misteriosa e tremenda predilezione di Dio che Dante visse con tutta la sua drammaticità esaltante la sua travagliata esistenza. I dolori e le umiliazioni dell'esilio, le persecuzioni subite sia da uomini della spada che del pastorale, la sua morte lontano dal "bell'ovile" di Fiorenza...avevano corrisposto alla difficile e tribolata navigazione di Ulisse, ai pericoli cui volontariamente si offrono tutti coloro i quali accettano l'investitura di prediletti di Dio, sposando la giustizia e conferendo alla propria odissea personale un valore e un respiro che trascendono i confini meramente individuali in una sorta di coinvolgimento con il destino dell'umanità tutta. A lui però sarebbe stato sottratto il naufragio dell'eroe pagano in quanto sulla vetta di quella montagna ai cui piedi Ulisse conoscerà lo scacco ultimo, lo attendevano, guidate da Beatrice,  le tre sorelle che avrebbero sancito la investitura e avrebbero fatto ad essa il dono del suo oggetto finale ad essa il dono del suo oggetto finale: la visione beatifica. Dante e Ulisse si incontrano dunque allo zenith della confluenza di due grandi esperienze spirituali, quella pagana e quella cristiana, alla ricerca  sia l'una che l'altra  dell'aldilà, del mistero, attraverso il mare dell'essere attraverso le dure esperienze dell'intelletto e del cuore, tramite la risolutrice risposta del bene o del male alle domande infinite della problematica esistenziale. L'avventura oceanica dell'eroe ellenico e il viaggio oltremondano del pellegrino medievale saldano due spezzoni di conoscenza, saldano due itinerari del viaggio, dell'avventura dlle'uomo verso la conoscenza totale del suo destino, di cui il primo abbraccia la fase iniziale che è quella naturalistico scientifica, mentre il secondo la prolunga nella dimensione spirituale e metafisica.  Due dimensioni, due direzioni che possono ancora oggi integrarsi, armoniosamente sommarsi, così come repugnarsi e negarsi, perché la dimensione dell'uomo resta sempre quella drammatica. E Dante ha scritto una delle pagine più elevate della poesia di tutti i tempi, accompagnando Ulisse fino a quella "linea d'ombra" che divide il visibile dall'invisibile, l'esperienza sensibile dalla rivelazione trascendente, oltre la quale il mistero si fa luce.
Casalino Pierluigi