"Le Scienze" sul verocambiamento climatico

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LE SCIENZE 

Il numero più importante nel cambiamento climatico

Secondo il rapporto più recente dell'IPCC, l'intervallo di aumento della temperatura globale conseguente a un raddoppio della concentrazione atmosferica di anidride carbonica dovrebbe essere tra 1,5 e 4,5 gradi Celsius. Ma le incertezze sono ancora molte, perché non c'è accordo sulla sensibilità dei cicli biogeochimici terrestri alla coltre sempre più spessa di gas serradi David Biello



La furiosa maestà di un temporale sfugge a qualunque simulazione al computer. In un mondo diviso in celle di 10.000 chilometri quadrati per rendere digeribili a un computer i 510 milioni di chilometri quadrati della Terra, una pioggia che si riversa su due chilometri quadrati è troppo piccola per essere prevista in modo corretto in una simulazione del clima. E lo stesso si può dire per un uragano come Sandy, che nel 2012 si estendeva per 280 chilometri su mare e e terraferma.

Le nuvole controllano il clima. Anche se potessero essere considerate orrettamente nelle simulazioni al computer, c'è tutta la complessità dei diversi tipi di nuvole, la loro quota in atmosfera, addirittura la composizione e la forma delle gocce di pioggia. I modelli climatici fanno fatica a simulare gli uragani, che sono tra i sistemi nuvolosi di maggiori dimensioni, per non parlare delle singole striature del cielo chiamate cirri, o dei densi e ondeggianti cumulonembi. Come possano formarsi nubi basse che raffreddino o se nubi del genere possano scomparire tutte insieme con il riscaldamento del clima sono questioni con impatti notevoli sul riscaldamento globale.


Il numero più importante nel cambiamento climatico
Orso polare sui ghiacci artici che fondono: l'immagine è diventata un simbolo degli effetti del riscaldamento climatico (© Paul Souders/Corbis)
Tra tutti i numeri comunemente sbandierati per il riscaldamento globale, il più importante per il cambiamento climatico non è 400, cioè il valore della concentrazione atmosferica dell'anidride carbonica espressa in parti per milione, e non è neppure 2, cioè l'incremento in gradi Celsius della temperatura media globale. Non è neanche 1000 miliardi (la quantità di anidride carbonica che possiamo immettere in atmosfera entro il 2050 per evitare un riscaldamento superiore ai 2 gradi), e nemmeno di 100 miliardi (in fondi annuali per l'adattamento climatico). Il realtà non si tratta di un singolo numero, ma di un intervallo: da 1,5 °C a 4,5 gradi °C, secondo il più recente rapporto dell'Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), l'organizzazione delle Nazioni Unite che nel 2007 ha ottenuto il premio Nobel per la pace.

Questo è il riscaldamento globale atteso nei prossimi secoli per effetto di un raddoppio della CO2 atmosferica in base ai risultati di circa 40 simulazioni su scala planetaria degli oceani e dell'atmosfera, note come modelli climatici globali. Ogni modello, come il Community Earth System Model del National Center for Atmospheric Research a Boulder, in Colorado, è eseguito su enormi supercomputer. Il nome formale del numero più importante è "sensibilità climatica all'equilibrio", e rappresenta il nuovo equilibrio delle temperature superficiali dopo un cambiamento nella quantità di energia solare che è intrappolata sulla Terra invece di essere irradiata verso lo spazio. Il numero è una stima di un intervallo di riscaldamento perché né gli scienziati né i modelli al computer riescono a trovare un accordo su quanto siano sensibili i cicli biogeochimici terrestri alla coltre sempre più spessa di gas serra invisibili, che a sua volta intrappola più calore.

In effetti, nonostante decenni di osservazioni e simulazioni sempre migliori, questo intervallo di sensibilità climatica non è cambiato molto dal 1979, quando un rapporto del National Research Council sui cambiamenti climatici curato dal meteorologo Jule Charney Gregory valutò la sensibilità climatica in 2-4 gradi °C di riscaldamento per un raddoppio di CO2 atmosferica. "L'incertezza può essere rimasta quella di prima, ma ora ha basi molto più solide", spiega Gavin Schmidt, esperto di modelli climatici e direttore del Goddard Institute for Space Studies della NASA.

Il numero più importante nel cambiamento climatico
Mappa in falsi colori della variazione media della temperatura nel periodo 2005-2009 rispetto al periodo 1951-1980. La scala di colori va dal rosso (corrispondente a un riscaldamento di circa 2 gradi), passando per giallo e arancione (1 grado) per arrivare alle zone in azzurro (0,5 gradi) (credit: NASA/GISS)
La Terra è un sistema complesso, una complessità irriducibile che resiste alla semplificazione in modelli al computer. Di conseguenza, gli effetti di concentrazioni crescenti di CO2 atmosferica che si osservano nel mondo reale, come la fusione del ghiaccio artico marino e terrestre, sembrano farsi sentire più velocemente rispetto alle previsioni delle simulazioni al computer. Ma l'intervallo di sensibilità non è il semplice prodotto di simulazioni al computer o del modo in cui reagiscono atmosfera e oceano  -  due grandi fluidi turbolenti a contatto  -  a più calore intrappolato da più CO2. È anche basata su aria antica intrappolata nel ghiaccio antartico, sul decadimento continuo di elementi radioattivi presenti nelle rocce e su altre osservazioni del passato remoto del pianeta. In termini climatici, il lontano passato non è semplicemente passato, è un anteprima di ciò che il mondo potrebbe vivere di nuovo in futuro.

Prendiamo per esempio l'Eocene, circa 30 milioni di anni fa, il periodo più caldo nella recente storia della Terra, in cui le concentrazioni atmosferiche di CO2 aumentarono fino a superare le 700 parti per milione e palme e animali simili a coccodrilli prosperavano a latitudini prossime all'Artico. I modelli climatici hanno difficoltà a spiegare come l'Eocene potesse essere così caldo ai poli anche con concentrazioni di CO2 molto più elevate rispetto a oggi. "Stiamo ipotizzando l'esistenza di nuovi meccanismi di feedback come vegetazione, aerosol o nebbie, che possono aver contribuito all'incremento delle temperature polari", spiega Schmidt. "Oppure potrebbe essere implicato qualche fenomeno fisico esotico."

All'estremo opposto c'è l'ultimo massimo glaciale di circa 26.000 anni fa, in cui la temperatura media globale era più bassa di solo un grado Celsius, sufficiente per ricoprire vaste aree dell'emisfero settentrionale con coltri di ghiaccio spesse un chilometro, che si estendevano verso sud fino alla latitudine di New York. Tracciare le temperature nel corso degli ultimi 420 milioni di anni suggerisce che il cambiamento climatico sarà superiore a 2 °C se le concentrazioni di CO2 raddoppieranno, ma non è dato sapere di quanto le temperature supereranno questo valore.

Il numero più importante nel cambiamento climatico
Al Gore, premio Nobel per la pace nel 2007 insieme all'IPCC, ex vicepresidente degli Stati Uniti e attuale direttore dell'associazione ambientalista Climate Reality Project, durante il suo intervento alla conferenza sul clima di Parigi (© Pacific Press/Corbis)  
Naturalmente non sono solo le nuvole a rendere complicata questa previsione. Capire il bilancio energetico del nostro pianeta è un compito complesso. Le eruzioni vulcaniche sembrano avere un'influenza sul clima globale maggiore di quanto si pensasse (dando ancora più speranza agli aspiranti geoingegneri) come sembra avvenga per la quantità di calore assorbito negli oceani: questi due elementi contribuiscono a raffreddare il clima, almeno nel breve periodo.

La mera comprensione della circolazione dell'Oceano Meridionale attorno all'Antartide, che mantiene il continente come chiuso in un congelatore, potrebbe migliorare i modelli climatici. Questo elemento osservativo cruciale è più facile da chiedere che da ottenere, considerata la realtà dei Quaranta Ruggenti e dei Cinquanta Urlanti, come una vecchia tradizione marinara definisce due fasce di latitudini prossime all'Antartide, in cui i forti venti e le onde che vi si accompagnano rendono estremamente difficile le misurazioni da nave o anche con alianti robotizzati. E non si tratto solo dell'Oceano Meridionale: i modelli non riescono a rendere conto neppure di come Pacifico e Atlantico circolano, assorbono e cedono calore. "L'evoluzione del riscaldamento globale dipende anche da quanto velocemente l'oceano si riscalda", osserva Gabriele Hegerl, climatologo dell'Università di Edimburgo.

I cambiamenti climatici, inoltre, non sono guidati solo dalla CO2 e dagli altri gas serra emessi con il consumo di combustibili fossili e altre attività umane. È influenzato anche dalla deforestazione per fare spazio ai terreni agricoli o dal rimboschimento, dai capricci dell'intensità del Sole, dal soffocante inquinamento della Cina e da altre forme di emissione incontrollata di aerosol che deturpano l'atmosfera. "È un po' come guardare un incrocio trafficato per un'ora", spiega Reto Knutti, climatologo dell'ETH di Zurigo. "Si può imparare molto sui fenomeni che regolano il traffico, ma è molto difficile prevedere come cambierà il traffico nel prossimo decennio o nel prossimo secolo."

Come si dice: tutti i modelli sono sbagliati, ma alcuni sono utili. L'impatto di tutte queste incertezze del mondo reale forse può essere sintetizzato in un vincolo per tutti i modelli di cambiamento climatico grazie a tecniche statistiche bayesiane: queste tecniche stimano un'incertezza globale basandosi sulla probabilità associata a ciascun fattore in gioco. "Non abbiamo ancora progettato questo esperimento", dice Schmidt. "Ma il cammino verso questa sintesi è chiaro."

La fisica delle nubi e il loro comportamento apparentemente capriccioso, il tipo di attività che ha dato origine alla credenza umana dei mutevoli voleri degli dei del cielo, assilla climatologi e meteorologi di oggi, sebbene gli occhi nel cielo forniti dai satelliti dovrebbero aiutare, come dovrebbero computer più potenti su cui far girare modelli basati su griglie con una risoluzione di appena un chilometro quadrato. Poi ci sono i difetti fin troppo umani di un'azienda come la Volkswagen, i cui dipendenti hanno mentito sulle emissioni dalle automobili che producono, addirittura abbastanza da confondere le stime dell'inquinamento prodotto nell'elaborazione di modello, e quindi le previsioni del futuro generate da quel modello. In altre parole, i feedback hanno elementi che non sappiamo di non sapere.

Eppure, i modelli al computer, e anche i calcoli fatti a mano da Guy Callendar nel 1938 o le congetture del rapporto Charney del 1979, hanno fatto un buon lavoro nel prevedere il cambiamento climatico come è poi avvenuto, il che suggerisce che la sensibilità del clima a lungo termine potrebbe non essere importante quanto le risposte del clima nei prossimi decenni. "Il punto è prevedere che cosa sta per accadere prima che accada", dice Schmidt. "Per sapere che cosa avverrà nel 2050, il problema non è la sensibilità del clima, ma su quale percorso ci siamo incamminati per gestire le emissioni".

Molti climatologi sono d'accordo con i loro predecessori: un raddoppio della CO2 atmosferica significherà un riscaldamento di temperature medie globali di circa 3 °C, con un'incertezza di più o meno un grado. Un modo per verificare se questo consenso è corretto consiste nel continuare sull'attuale corso dello sviluppo, basato su consumo di combustibili fossili, deforestazione e  altre attività che emettono gas serra.

"Potremmo arrivare a due gradi di riscaldamento entro il 2065 anche senza accelerazione, ed essere oltre 2,5 °C alla fine del secolo", afferma Kevin Trenberth, climatologo del National Center for Atmospheric Research. "Ci potrebbe essere un'accelerazione a causa della fusione dei ghiacci e della presenza di superfici più scure. Ma qualcosa di buono potrebbe uscire dagli incontri sul clima di Parigi e il tasso d'incremento potrebbe iniziare a scendere un po'. Speriamo sia proprio così."