Mary Blindflowers, Il filo conduttore, Nettarget 2015©

Foto e copertina di Mary Blindflowers©

Tidelfo, scrittore fallito, si trova all'improvviso a dialogare con la storia che sta faticosamente tentando di scrivere, finendo per ritrovarsi ostaggio dei propri personaggi che arrivano, con le loro ingombranti presenze, ad occupargli l'appartamento. “Il filo conduttore” non è un romanzo nel senso tradizionale del termine; è definibile piuttosto come "anti-romanzo". In esso, ogni regola letteraria e narrativa viene, infatti, rigettata.
La letteratura ha delle leggi precise: i personaggi vanno descritti e collocati in un determinato contesto sociale, culturale e fisico, dal quale non è possibile prescindere; si rischia, in caso contrario, di presentare dei personaggi “freddi”, poco empatici, in cui il lettore fatica ad immedesimarsi. Fondamentale poi è l'ispirazione poetica che rende le parole gradevoli e ispirate... Ne "Il filo conduttore" tutto questo viene a mancare. L’anima dei personaggi nasce dal dialogo, che non tiene volutamente conto delle figure retoriche, del bello stile e delle allegorie, tende anzi al minimalismo. Qui non c'è poesia, tranne quella presente nel cinismo del protagonista. Perché il cinismo di Tidelfo, scrittore fallito, e della sua storia, hanno comunque una propria epifanica e lacerante poesia.
Lo scopo dell’anti-romanzo non è dare emozione, ma segnalarne piuttosto l’assenza, in un vuoto esistenziale e primitivo, che trascende la soggettività del singolo per diventare universale.
La sensazione che si comunica non è di gradevole suggestione e non è neppure sanguigna; quel che viene presentato è l’uomo messo impietosamente e cinicamente di fronte a se stesso, nudo, senza menzogne o difese.