Paolo Melandri Futurismo e guerra

La Mobilitazione Totale: Futurismo e Guerra

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         È contrario allo spirito eroico cercare l'immagine della guerra in un àmbito che può essere plasmato dall'agire umano. Eppure la varietà delle metamorfosi e dei travestimenti che la pura forma della guerra subisce con il mutare dei tempi e dei luoghi offre uno spettacolo soggiogante.
         Questo spettacolo ricorda i vulcani, in cui è sempre lo stesso fuoco tellurico a erompere, e che tuttavia sono attivi in paesaggi assai diversi. Ora, aver preso parte a una guerra è un po' come essere stati nelle vicinanze di una di queste montagne di fuoco, anche se poi tra lo Hekla islandese e il Vesuvio sul Golfo di Napoli c'è differenza. Si potrebbe certo dire che la diversità dei paesaggi tende a svanire quanto più ci si avvicina alle fauci incandescenti del cratere, e che là dove la materia pura dell'emozione prorompe, cioè soprattutto nella nuda lotta per la vita e la morte, è secondario sapere in quale secolo si combatte, per quali idee e con quali mezzi. Ma non di questo parleremo nelle pagine che seguono.
         Ci sforzeremo piuttosto di raccogliere alcuni dati che distingono «l'ultima guerra», formula inclusiva delle due guerre mondiali (1914-1945), la guerra di cui ancora serbiamo un vivo ricordo, il maggiore e più fatale evento di quest'epoca, da tutte le altre guerre di cui la storia ci ha tramandato il ricordo.
 
         Alla peculiarità di questa grande catastrofe ci si può forse accostare affermando che in essa il genio della guerra si è congiunto con il genio del progresso. Ciò non vale soltanto per la lotta tra le varie nazioni; vale anche per la guerra civile che in molte di queste nazioni ha raccolto una seconda, larga messe. Questi due fenomeni, la Guerra mondiale e la rivoluzione mondiale, sono intrecciati molto più strettamente di quanto appaia al primo sguardo; essi sono le due facce di un evento di portata cosmica, sotto molti aspetti interdipendenti sia per quanto riguarda la loro origine che per il loro improvviso manifestarsi.
         È probabile che il nostro pensiero debba fare ancora singolari scoperte intorno all'essenza di quel che si nasconde sotto il concetto vago e luccicante di «progresso». Non c'è dubbio che la nostra attuale inclinazione a deriderlo prenda la cosa un po' troppo alla leggera. Se è vero che questo rifiuto del progresso può richiamarsi a tutte le migliori intelligenze dei secoli XIX e XX, la nausea che si prova di fronte alla piattezza e alla monotonia delle sue forme non può cancellare il sospetto che il terreno da cui nascono queste forme sia, in se stesso, qualcosa di ben più importante.
         Dopotutto, anche un'attività come il digerire dipende dalle energie di una vita meravigliosa e inspiegabile. Oggi si può certo sostenere con ottime ragioni che il progresso non è un progresso, ma forse più importante di questa affermazione è domandarsi se il suo vero significato non sia più segreto e assai diverso da quello che ama nascondersi dietro la maschera, in apparenza così limpida, della ragione.
         Proprio la sicurezza con cui i movimenti tipicamente progressisti conducono a risultati in contrasto con le loro stesse tendenze fa nascere il sospetto che qui, come in tutte le situazioni della vita, le tendenze contino assai meno di altri moventi più nascosti. Se i grandi ingegni non hanno lesinato, e a ragione, il proprio disprezzo per il progresso e le sue marionette di legno, i fili sottili che ne guidano i movimenti sono rimasti invisibili.
         Chi voglia avere maggiori ragguagli sulla struttura delle marionette non troverà guida più spassosa del Bouvard et Pécuchet di Flaubert. Chi invece voglia indagare nelle loro possibilità i moventi nascosti, più facili da intuire che da dimostrare, troverà già in Pascal e in Hamann una quantità di passi istruttivi.