Vitaldo Conte: Marinetti / poesia visiva come Futurismo Oggi *da Il Borghese

Marinetti / poesia visiva

come Futurismo-Oggi

 

di VITALDO CONTE

 

 

Marinetti / poesia visiva costituisce per me, oltre che un confronto con attualità, l'inizio pubblico del mio rapporto con il Futurismo. Nel 1976 si svolse a Roma un significativo convegno per il centenario della nascita di Marinetti (di cui ricorre nel dicembre di quest'anno il 70° della morte) dal titolo Marinetti Domani. Fui invitato anch'io (poco più che ventenne) come relatore con una relazione sul tema. L'iniziativa fu promossa da Futurismo-Oggi, ultima rivista e riflessione delle generazioni storiche del Futurismo, attiva a Roma dal 1969 al 1993, diretta da Enzo Benedetto, poeta e pittore reggino. Nella dichiarazione di nascita (1967) i promotori intendevano "riaffermare" che il Futurismo era, in primo luogo, un'idea, non soltanto una raccolta di opere e intuizioni ereditate, che non poteva essere inscritta in un limitato arco di tempo.

L'interesse verso l'estroversione della parola è indiscutibile nell'espressione futurista, aprendo l'area della letteratura a coinvolgimenti sensoriali diversi e al dinamismo del linguaggio. L'impotenza di una certa parola letteraria verso il suo oltre era stata già intuita nella cultura di fine '800 da Mallarmé con la pagina bianca. L'influenza del Futurismo è rintracciabile anche attraverso la capillare teorizzazione dei suoi manifesti, che sensibilizzarono l'espressione all'allargamento sinestetico, coinvolgendo il suono, il rumore, il gesto, l'olfatto, il tattilismo, ecc. Il Futurismo ricerca una creazione globale e contigua dei vari linguaggi con un coinvolgimento di questi nella realtà quotidiana. A Marinetti va riconosciuto il merito di avere contribuito, in maniera eloquente, all'esaurimento delle risorse normali della frase. La definizione di poesia visiva fu già data dallo stesso nel '44 in una presentazione a Carlo Belloli: "con Belloli la poesia diventa visiva".

Il Manifesto tecnico della letteratura futurista (1913) è un punto naturale di partenza e riflessione. Marinetti introdusse nella letteratura l'esigenza di elementi extrapoetici, fino allora trascurati, per allargarne il campo espressivo. Come il rumore (manifestazione del dinamismo degli oggetti); il peso (facoltà di volo degli oggetti); l'odore (facoltà di sparpagliamento degli oggetti). Elementi che saranno sviluppati dalle successive ricerche. Nella Rivoluzione tipografica Marinetti (1913) precede la contestazione del libro tradizionale della poesia visuale: "La mia rivoluzione è diretta contro la così detta armonia tipografica della pagina, che è contraria al flusso e riflusso, ai sobbalzi e agli scoppi dello stile che scorre nella pagina stessa". Dichiara altresì di voler combattere "l'ideale statico di Mallarmè" con una rivoluzione tipografica, che permetta di imprimere alle parole tutta la velocità: "Noi useremo perciò in una medesima pagina, tre o quattro colori diversi d'inchiostro, e anche 20 caratteri tipografici diversi, se occorra. (...) Con questa rivoluzione (...) mi propongo di raddoppiare la forza espressiva delle parole".

La parola di Marinetti è un'autentica fuoriuscita, anche fisica, della parola, dal libro e dalla lettura tradizionale, assumendo elementi comportamentali di lirico coinvolgimento totale. La visualità del testo esce dalla linearità verbale per essere sonorizzata dall'autore ed espressa "fuori". Ne La declamazione dinamica e sinottica (1916) la descrizione di come dovrà "comportasi" il declamatore futurista implica un rapporto con l'arte del comportamento, che precorre la relazione visuale e sonoro-performatica del testo poetico. La parola tende a essere sostituita dal corpo dell'autore e dai suoi gesti, uscendo dalla spazialità lineare per creare "nuovi orizzonti imprevisti".

Nel Lirismo multilineo (1913) troviamo la ricerca di una poetica totale: "Il poeta lancerà su parecchie linee  parecchie catene di colori, suoni, odori, rumore, pesi, spessori, analogie.  Una di queste linee potrà essere per esempio odorosa, l'altra musicale, l'altra pittorica". Esigenza rintracciabile anche nel manifesto de La cinematografia futurista (1916), in cui è riscontrabile l'influenza sulle poetiche verbo-visuali: "Esso sarà insomma pittura, architettura, scultura, parole in libertà, musica di colori, linee e forme, accozzo  di oggetti e realtà caotizzata". Ciò è determinabile più chiaramente in "metteremo in moto le parole in libertà che rompono i limiti della letteratura marciando verso la pittura, la musica, l'arte dei rumori e gettando un meraviglioso ponte tra la parola e l'oggetto reale". Lo sconfinamento oggettuale della parola ha degli esempi nel Futurismo: il chiosco pubblicitario per libri, occupando lo spazio con elementi tridimensionali in forma di lettere, disperde la scrittura in una costruzione architettonica.

Marinetti e il Futurismo hanno il merito di avere indagato e aperto le proprietà tradizionali della frase. Le "parole in libertà", pur rappresentando il primo passo di uscita dall'ortodossia lineare della scrittura, costituiscono il trampolino di lancio verso le successive "tavole parolibere": da queste si può far partire, infatti, l'inizio della scrittura visuale italiana. Come è rilevabile per le tre tavole verbotipografiche, poste da Marinetti in fondo al libro Les mots en libertè futuristes del 1919, da considerare il vertice della sua esplorazione letteraria, il poeta si spinge oltre i limiti della tavola parolibera vera e propria: immette i simboli verbali in un più ampio contesto spaziale e di significato, ottenuto con la giustapposizione di una scrittura tipografica, di segni di varia derivazione e di macchie creative. Oltre a Marinetti, vanno ricordati le espressioni di Cangiullo, Masnata, Buzzi, Russolo, Depero, Govoni, Soffici, Balla, ecc. La dialettica dei dosaggi dei due poli (parola e immagine) attraverserà le poetiche verbo-visuali italiane fino all'attuale scrittura come arte. Da ricordare la mostra Scrittura Visuale in Italia 1912-1972, a New York e Torino (1973): una prima significativa verifica di questa continuità espressiva.

 

da 'Il Borghese', ottobre 2014