IL DIRITTO DI PAROLA NEL GAP TRA PUBBLICO E PRIVATO

di Mary Blindflowers

(photo dell'autrice)

Nelle filosofie orientali e occidentali si pensa che il nome, definendo, crei la cosa stessa, che attraverso il nome si dia realtà, concretezza e verità ontologica al mondo così complicato, così fragile. Ma è veramente così? Siamo un nome? Non è riduttivo? Solo chi ha un nome può dunque correre il grosso rischio di essere preso sul serio? E chi non ha voce, chi non ha un nome noto da esporre ai quattro venti, chi vive nell'ombra, scostandosi dai giochi di potere, ha il diritto di parlare?
La chat è uno strumento di comunicazione che permette di scrivere messaggi a distanza, come la mail e come una lettera postale, solo in modo più rapido, come se si stesse conversando. Adesso è possibile anche fare videochiamate, così si risparmia sul costo della chiamata e ci si può anche vedere. Ma la facilità con cui oggi è possibile comunicare non è ricompensata da altrettanta onestà. Così ci sono poeti che anziché occuparsi di scrivere qualcosa di decente da presentare, si dedicano al gossip in chat, passano il tempo, non costa nulla e possono tranquillamente gettare fango sui loro nemici, sparlando di loro in privato e lodandoli sperticatamente in pubblico, in modo da costruirsi due personalità distinte e tra loro contrapposte, che remano l'una in direzione opposta rispetto all'altra. Perché fanno questo? Per invidia, per pusillanimità, per vigliaccheria?
Se lo strumento della comunicazione viene svilito a questi livelli dico no, non ci sto. Non è questa la strada, il doppiogiocchismo alla lunga credo che non paghi, che non solo immiserisca chi lo pratica più che chi lo subisce, ma attiene ad un'immobilità e ad una falsità di rapporti umani che non consente di andare oltre la mera contingenza, i dispetti personali, i rancori individuali. Se devo criticare un autore perché il suo libro non mi è piaciuto, lo faccio pubblicamente e senza mezzi toni e vorrei che anche gli altri facessero lo stesso con me, non vado a sparlare di quell'autore in chat, magari cercando di capire cosa fa nella vita e quali vizi e perversioni lo animano, semplicemente perché non mi interessa. Se devo criticare la condotta di un editor o di una casa editrice, le mie considerazioni avvengono alla luce del sole, con argomentazioni lucide e precise, non mi interessa il tenore dei rapporti che quell'editor intrattiene con i suoi sottoposti o cosa mangia a colazione o di che colore sono i suoi calzini, perché questo è gossip per polli che non solo distrae dal punto principale di ogni critica seria e costruttiva, ma rischia di far diventare inutile ed inefficace quella stessa critica. Il nome per me non è nulla, gli autori non sono nulla rispetto al sistema e occorre criticare il meccanismo, non le persone, per cui la coltivazione di rancori individuali nel piccolo orticello solo dipinto dei poeti, non solo attiene al ridicolo e al marionettesco, ma veramente svilisce ogni onestà intellettuale, creando un circolo di chiacchiera continua, alimentato da soffocati odi e gelosie, che non fanno bene alla letteratura. Se si sostiene un principio, occorre affermarlo con forza e onestà.  Se ci sono persone che, per i loro interessi, avversano questo tuo principio di onestà, occorre combatterle, ma sempre sui principi, perché quello che conta non sono gli individui, che passano, che nascono, muoiono, lasciano un segno o forse no, bensì l'idea. Essa sarà l'unica in grado di sopravvivere alla morte fisica, al passaggio transeunte di quegli oggetti-soggetti che siamo, e l'idea deve essere sempre quella della lotta sui principi, non del pettegolezzo da pollaio. L'idea ha una forza che nessun potere potrà mai imbrigliare perché ha già superato il misero recinto degli asti personali, essa è pura, pronta a comunicare con chi ha la pazienza e la voglia di ascoltare, di capire come funzionano le cose, e quest'idea così umile ha la pazienza generosa e il coraggio di esporsi, di dire la sua, firmandosi, di non nascondersi dietro le chiacchiere fumose di una chat o di una mail.
Pertanto se avete qualcosa da dire, che abbiate un nome o no, commentate pubblicamente, esercitate il diritto alla parola, esponetevi, non nascondetevi dietro una comunicazione privata, abbiate il coraggio di dire la vostra in pubblico. Se c'è gente che ha voglia di seminare vento nel circolo di cui si bea di stare, lasciatela fare, lasciatele coltivare il suo orticello, ma non fate come lei. Il polpo va lasciato cuocere nel suo brodo, lentamente, ma se non siete molluschi, dovete avere il coraggio di uscire dal guscio e dire pubblicamente come funzionano le cose, il resto non conta, attiene al pittoresco, alla degradazione dello spirito umano perso in fole di cui poi nulla resterà, solo tracce di polvere che al limite si scacciano via con la mano dal vestito buono della festa delle pazienze bene esercitate.