Ibn khaldu^n e la separazione tra stato e moschea.

Come Machiavelli, anche il musulmano Ibn Khalduìn non ha grande simpatia per i profeti disarmati, e in tutto un capitolo critico e severo delle sue Muqaddima, degno de Il Principe, dice quello che pensa a tale categoria di novatori religiosi, così frequenti nella storia dell'Islam. come in ogni altra religione, i quali dimenticano che "i re e gli Stati stanno saldi e forti, né li può smuovere e abbattere se non un'offensiva potente, sostenuta dalla 'asabiyya delle tribù e de gruppi sociali". Chi senza questo appoggio pretenda di riformare il mondo è un illuso in buona fede, e sconta con la propria rovina le conseguenze del suo isolamento, o è un imbroglione con secondi fini ambiziosi, che trasforma la religione in un successivo strumento di potere, e tanto più, alla lunga, resta scornato e avviato alla rovina. Sarebbe cero azzardato riconoscere a Ibn Khaldu^n di essere arrivato a concepire lo stato laico, ma poco manca a individuare in lui una separazione tra laicità e religiosità, tra stato e moschea. Contrario ai vagheggiatori inconsolabili dell'ideale che comunque producono guasti ancor peggiori, il sociologo maghrebino conclude quanto sia deleteria la perdita del senso di appartenenza politica per un popolo, situazione che conduce alla deriva dell'asservimento straniero. E ciò fu ai danni degli Arabi a favore dei Turchi.
Casalino Pierluigi, 3.12.2014