POESIA E TECNOLOGIA NELLA LINGUA ARABA

Come le lingue occidentali, anche le lingue orientali devono continuamente confrontarsi con la moderna terminologia scientifico-tecnologica ed il nuovo lessico economico-politico, che derivano direttamente dai sempre più frequenti contatti internazionali e dal rapido progresso tecnico-scientifico nel quadro della crescente modernizzazione e globalizzazione. Altrettanto avviene per l'arabo, che risente, del resto, come tutte le altre lingue, della complessa civiltà cosmopolita, determinata dal'intrecciarsi delle infinite ramificazioni culturali provenienti dalle varie componenti nazionali, ma che tacitamente (e non troppo tacitamente) ha trovato un denominatore comune nell'inglese. Naturalmente anche per la lingua araba, per indolenza dei propri traduttori o dei fruitori locali, ma non di rado per obiettive difficoltà di una trasposizione di un concetto straniero, si è appropriata di un cospicuo numero di termini internazionali scientifici, creati modernamente con radici greco-latine, apportandovi soltanto le modifiche fonetiche essenziali. Ad esempio, l'arabo, che non possiede la consonante P, richiede normalmente che le parole straniere importate, che la contengono, la trasformazione in B. Perciò un "imperatore" diventa "imbaraturun". Tutti sanno che l'animo orientale fa ampio uso della fantasia, così ben evidenziata ed applicata nella stesura dei racconti delle "Mille e una notte" (Alf laila wa laila), novelle pregevoli se non altro per il folclore del mondo islamico, sia arabo (Iraq ed Egitto), sia persiano che documentano. D'altra parte il linguaggio arabo è stato a lungo appannaggio di un'élite di umanisti, poeti e letterati, per i quali l'uso di uno stile tra il retorico e l'ampolloso dava la massima misura della capacità letteraria e poetica di chi scriveva, specialmente in certi periodi ( prosa di "adab"). Si noti, tuttavia, che ciò non esclude l'autentica poesia, il vero valore di uno scrittore, come nel caso di al-Mutanabbi, o del celebre principe omaiàde di Cordova (Spagna islamica) Abdu Abd al-Malik Marivan, detto As-Sarif at-Taliq, che ci ha lasciato poesie come quella famosa sulla nube. Un habitus mentis che li ha portati come Arabi a chiamare se stessi, oltre che con il normale termine " 'arabun", anche con "banu ma'i s-sama'i", cioè figli dell'acqua piovana, volendo porre in risalto la circostanza che senza un pò d'acqua del cielo non vi sarebbero possibilità di vita nell'arida e desertica "Giaziratu-l-'arabi", o isola degli Arabi. che tale è per loro, per anonomasia, la Penisola Arabica, anche se il concetto si è trasferito in altre parti della "umma". L'uso delle metafore, accanto ad altri termini "normali", o più semplici comunque, è assai ampio e più frequente che in molte altre lingue e ci richiama l'antica poesia degli scaldi scandinavi o il "trobar clus" di certi trovatori provenzali come Marcabruno. E' ben nota la querelle sulle ascendenze arabe della poesia trobadorica, tramite la Spagna musulmana, e della Sicilia normanna, etc. (vedi il Menendez Pidal ed altri). Sterminato è il patrimonio lessicale della lingua araba ed è inutile ora soffermarsi su tale argomento, anche se la ricchezza di tale patrimonio dovrebbe dare l'idea della potenza poetica delle sue capacità di ammodernamento ad un tempo. L'arabo è una delle lingue più diffusa nel mondo ed è stata anche ammessa tra quelle usate nel Consiglio di Sicurezza dell'ONU, non soltanto per l'estensione del territorio (dal Maghreb all'Iraq, ma anche per numero di arabofoni.
Casalino Pierluigi, 25.12.2014